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 2016  gennaio 04 Lunedì calendario

Ferragamo, un paio di scarpe per girare il mondo

È inevitabile. A un certo punto, l’occhio cade sulle scarpe. Che non sono qualunque dal momento che a indossarle è Ferruccio Ferragamo, al timone di un impero fondato dal padre Salvatore, il calzolaio dei sogni e delle dive.
«Sono comode, sa. Le scarpe devono essere anzitutto confortevoli», si affretta a commentare. Ferruccio Ferragamo, presidente della Salvatore Ferragamo Spa e Ad della Ferragamo Finanziaria, conduce un’azienda solida come una quercia, con quattromila dipendenti e una rete di 640 punti vendita. Nel 2014 sono stati registrati ricavi pari a 1.332 milioni di euro, con un +6% rispetto all’anno precedente. Il cuore del marchio continua a pulsare nella moda, quindi calzature, pelletteria, abbigliamento, prodotti in seta, occhiali, orologi, profumi. Sono poi emanazioni del Gruppo fiorentino catene di hotel, barche di lusso, porti, resort esclusivi per vacanze griffate.
Lavora nella moda dal 1963. Le capita di avvertire momenti di assuefazione?
«La moda tiene vivi. Segue le continue mutazioni del mondo, consente quindi di adeguarsi al tempo che cambia, alle esigenze del consumatore, al modo di vivere. Ogni sei mesi c’è un cambiamento. In questo mondo è impossibile annoiarsi».
Le piacciono, insomma, i cambi di marcia e le svolte...
«Quando viaggio non porto più valigie. Atterro e vado subito a visitare la città. Mi piace vedere cosa è cambiato rispetto all’ultima volta in cui ci sono stato. I nostri tempi sono fatti di viaggi ed esplorazioni continue».
Fu proprio un viaggio a imprimere una svolta alla vita di suo padre, Salvatore il Grande...
«Già, quello con partenza da Napoli alla volta di Ellis Island. Risale a 100 anni fa, il 7 aprile per l’esattezza. Un viaggio interminabile, quasi come il mio primo transoceanico».
Via nave anche il suo?
«Sì, salpai a Genova arrivando negli Usa otto giorni dopo».
 Cosa raccontava papà di quella prima attraversata?
«Era partito con così pochi soldi che neppure bastavano per assicurarsi l’ingresso a New York. Eppure pagò la differenza per lasciare la terza classe e andare in seconda. Una volta in America, iniziò a lavorare col fratello in un grande calzaturificio di Boston. Figuriamoci, lui, temperamento creativo a una catena di montaggio, era affascinato dalla modernità delle macchine ma ne vedeva anche i limiti. Così lasciava l’East Coast puntando sulla California, Santa Barbara, aprendo un suo negozietto di riparazioni di scarpe».
Il suo punto di forza?
«Saper leggere l’anima del cliente. Ne individuava subito il carattere e su quello plasmava la scarpa: sempre individualizzata».
 Che ricordo ha di suo padre?
«Ancora lo vedo che muove le mani mentre sperimenta un nuovo modello di scarpa. Lui era così. Non disegnava niente, creava direttamente partendo da un modellino. Un insaziabile creativo, sempre in attività, pieno di energia».
Un padre presente?
«Presente e severissimo, intransigente. Mi portava a scuola, poi arrivava quando arrivava, potevo trascorrere ore ed ore ad aspettarlo sul portone della scuola. A casa si mangiava tutti insieme. Era il momento in cui ci raccontava dei personaggi che frequentavano il negozio».
 Dive comprese...
«Dalla Hepburn alla Magnani. Poi la bellissima presentatrice di Lascia o Raddoppia, Paola Bolognani. Ho ancora la foto, avevo 16 anni, ed ero innamoratissimo di lei».
 Diceva che papà era severo...
«Ammetto che da ragazzo avevo in testa solo il pallone, non ero un campione dello studio, quindi aveva il suo bel da fare a farmi rigar dritto. Però era buonissimo, di gran cuore. Particolarmente generoso. Mamma era preoccupata che prima o poi potesse perdere tutto. Ricordo che una volta modificò un motto su una targhetta che circolava per casa. Era scritto: Non far male che è peccato. Non far bene che è sprecato. Lui modificò la frase in: Fai bene anche se è sprecato».
A proposito di mamma. Come sta la signora Wanda?
«Ha 94 anni ed è sempre impegnata a organizzare le riunioni di famiglia, a scrivere i biglietti di suo pugno a questa nostra tribù di 93 nipoti».
Quanti di loro sono in Ferragamo?
«Tre, anche se nel Cda sono rappresentati tutti i rami di noi sei fratelli. Dei miei figli, per esempio, solo James lavora in Ferragamo. Salvatore, per dire, poteva avere accesso, ma mi chiese di seguire il progetto del Relais & Chateaux, il Borro. Che, voglio precisare, non rientra nella holding Ferragamo, è una cosa mia. Da noi c’è una regola: nessuno è obbligato o tenuto a entrare in azienda».
Sempre attivo il protocollo che stabilisce i parametri per poter entrare in azienda? Ovvero laurea, MBA, tre anni di esperienza in azienda extra-Ferragamo, inglese fluente...
«Questo patto non c’è più. O meglio, non è scritto, ma vediamo di osservarlo».
Come reagisce alle fluttuazioni di Piazza Affari? (dal 2011, Ferragamo è quotato in Borsa)
«Bene, nel senso che tendo a non seguire la Borsa. Certo. Mi piace quando va su, e tocca certe quote, quando supera il numero venti un po’ d’ebbrezza la provo. Ma l’umore non cambia per quello».
Il 90% del vostro fatturato deriva dall’export. State soffrendo per il rallentamento dell’economia cinese?
«La Cina ha rallentato un poco, in compenso sta crescendo il mercato giapponese. Gli Usa sono sempre una potenza. È buona regola suddividere i rischi puntando su diversi mercati».
 Cosa è l’eleganza? E in particolare l’eleganza Ferragamo?
«Vuol dire essere se stessi. L’eleganza Ferragamo è quella che non prevarica la personalità. Un concetto nel dna dell’azienda. Si parte da mio padre che per Marilyn Monroe confezionava scarpe di un certo tipo, sicuramente con tacco importante, mentre per una donna come Audrey Hepburn pensava a una calzatura totalmente diversa, con tacco basso anzitutto. Non ha mai imposto il suo gusto, ha sempre seguito la personalità del cliente. L’eleganza è semplicemente essere se stessi, implica quindi essere anche comodi. Io sono la cavia del marchio, vengono sempre da me per testare le scarpe. Do l’ok solo quando sono comode, oltre che belle naturalmente».
Ferragamo è poi sinonimo di Toscana: regione fra le più amate dagli stranieri, pronti a investire. Le piace questa tendenza?
«La trovo positiva».
 C’è chi teme l’effetto colonizzazione.
«Non solo non mi preoccupo se gli stranieri investono in Italia, lo leggo come un complimento al nostro Paese. Conta, però, non fare l’inverso, ovvero che gli italiani vadano a produrre all’estero».
Cosa che Ferragamo non fa per nulla, giusto?
«Noi siamo al 100% made in Italy».
E comunque, investire in Italia è spesso un’avventura.
«Ed è una nota dolente. Dovremmo mettere gli stranieri nelle condizioni di poter investire, creando incentivi anziché demotivarli con il fardello della nostra burocrazia».
La Toscana è poi mecca di turismo.
«Il turismo è una miniera d’oro. È stupefacente il concentrato di siti storici sul nostro territorio. Al Palazzo Italia di Expo ho visto immagini del nostro Paese d’una bellezza commovente. Dobbiamo riuscire a portare i turisti in tutto il nostro Paese, non solo nelle città chiave. C’è un mondo inesplorato da far scoprire».
Da fiorentino, cosa dice di Matteo Renzi?
«Che ha le idee chiare. Non fa le cose per caso. Tifo per lui. L’Italia è guardata con molta attenzione. Ha bisogno di sempre maggiore stabilità».
Ha detto che ciò che contraddistingue gli italiani sono creatività e tenacia. Difficilmente si sente decantare la virtù della tenacia...
«Se osservo la mia azienda, vedo che è fatta da persone fantastiche, che non mi stanco mai di apprezzare. C’è una moltitudine di persone che lavora nel silenzio, sono sicuro che ci sono difficoltà ma non si arrendono mai. Si sentono partecipi. In altri Paesi, i dipendenti è come se fossero passeggeri di un treno, dove una carrozza vale l’altra: salgono e scendono senza problemi. Da noi si avverte maggiormente il senso della dedizione».