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 2016  gennaio 04 Lunedì calendario

I danni dei troppi stranieri nello sport. Guardiamo un po’ i numeri

Vengono da tutti e cinque i continenti. Ragazzi e ragazze che fanno dello sport la loro professione e hanno trovato un ingaggio in Italia con una delle squadre impegnate nei campionati di vertice. Ci sono i campioni affermati e le giovani promesse, quelli con il doppio passaporto (ma che sono nati e si sono formati all’estero) e quelli che, pure dal punto vista “burocratico”, sono stranieri a tutti gli effetti. E anche la forbice delle entrate è molto ampia, con i calciatori più quotati che – come è facile immaginare – vincono a mani basse.
In nessuna delle discipline considerate dall’indagine di due ricercatori del Gruppo Clas, Gianni Menicatti e Marcello Spreafico, si segnala una totale autarchia. Detto questo, le differenze evidenziate nell’infografica a fianco sono notevolissime e i due estremi vengono toccati proprio dal calcio: nella Serie A maschile – dati delle “rose” dei team alla mano – gli stranieri superano la metà del totale dei giocatori (56,1 per cento, unico campionato con la maggioranza che giunge da oltrefrontiera), mentre nella massima serie femminile ci si ferma al 4,2 per cento. In mezzo c’è di tutto: campionati che a loro volta hanno più del 40% di atleti di altri Paesi (il 49% della Serie A di basket maschile, in cui militano tra l’altro 52 cestisti statunitensi, il 44,3 per cento del calcio a cinque, soprattutto con una forte presenza di brasiliani, il 40,5% della A1 di pallavolo maschile, dove prevalgono i serbi) e altri tornei nei quali gli stranieri non raggiungono quota 10 per cento (dal 9,9 della Lega Pro calcistica al 7,9 della A2 maschile di volley e al 4,9 della Serie A1 femminile di pallanuoto).
Ma tutti questi apporti esterni sono garanzia di qualità? Naturalmente no, perché dipende dai casi o, meglio, dalle disponibilità economiche che le società riescono a mettere in campo rispetto ai club di altre nazioni. Di sicuro la pallanuoto maschile (con un 20,8% di stranieri e i croati in maggioranza relativa) vanta il torneo migliore del mondo e la squadra che lo monopolizza, la Pro Recco, è l’unica italiana ad avere vinto nella scorsa stagione la Coppa europea più importante. L’alto livello sembra garantito anche in altri due sport al maschile, il calcio a 5 e l’hockey pista (che ha il 18,6% di provenienza estera), in grado – come la pallanuoto – di attirare in Italia grandi campioni.
Un caso a parte è quello della pallavolo femminile di Serie A1, che ha nei “roster” circa un terzo di atlete straniere (le più numerose sono le statunitensi) e mantiene una buona caratura tecnica anche se sono alle spalle i tempi d’oro, garantiti soprattutto da sponsor assai generosi. «Il nostro sport – spiega Consuelo Mangifesta, campionessa negli anni 90 e ora responsabile eventi e relazioni esterne della Lega Volley femminile, nonché nota telecronista – è quello con il maggior numero di ragazze tesserate, ma questo non significa automaticamente che possiamo considerarci tra le nazioni più forti. Piuttosto, fino a una decina di anni fa avevamo il campionato migliore, perché tante grandi star internazionali venivano a giocare da noi. Adesso? Diciamo che gli ingaggi da sogno, da 300mila a ben oltre 500mila euro all’anno, vengono garantiti in altri Paesi, come Russia, Turchia, Azerbaijan. Da noi, però, è garantito uno standard medio delle squadre molto buono, ed è per questo che in vista delle Olimpiadi di Rio 2016 diverse giocatrici straniere di prima qualità hanno scelto l’Italia. È un bene per tutti, anche perché le caratteristiche tecniche e soprattutto fisiche delle italiane ci impediscono di avere molte giocatrici al top in alcuni ruoli, particolarmente in quello di “opposto”». Con questo cruccio le Azzurre del volley si accingono ad affrontare un difficile torneo di qualificazione olimpica, al via proprio oggi in Turchia, ad Ankara.
Non sono sicuramente le carenze di struttura fisica, invece, la causa dell’invasione straniera nella Serie A di calcio, più di una volta alle prese con squadre che, almeno negli “undici” di partenza a inizio stagione, hanno uno o due giocatori italiani. Nella rosa della Roma (22 stranieri e quattro italiani) viene da fuori l’84,6% degli atleti, in quella dell’Inter l’82,1; seguono Udinese, Fiorentina e Lazio, rispettivamente con 79,3, 77,8 e 76,7. Sono solo tre, invece, gli stranieri del Sassuolo, cioè il 10,7% del totale, a fronte di 25 italiani; ma anche per Empoli, Milan, Bologna, Atalanta, Chievo e Frosinone la quota estera si mantiene sotto il 50 per cento. I calciatori stranieri nella massima serie sono in tutto 306, con la stratosferica cifra di 56 Paesi rappresentati: in testa il Brasile, a quota 14% e alla guida di un plotone centro-sudamericano di oltre 100 uomini, mentre sono una cinquantina quelli nati nei territori della ex Jugoslavia.
«Quello che era il campionato più bello del mondo è da tempo un ricordo – osserva Claudio Pasqualin, decano dei procuratori sportivi e presidente di Avvocaticalcio -. Aveva un numero minore di stranieri ma con una qualità decisamente più alta. Il Sassuolo è la prova provata che per fare una buona squadra non occorre andare per forza in Paesi esotici, ma si può cercare di valorizzare i talenti italiani. La base ci sarebbe, eppure, come appeal, la Serie A è stata superata da Germania, Inghilterra, Spagna e ce la giochiamo con Francia e Portogallo. Il mio non è un ragionamento fondato su elementi “romantici” o “emotivi”: dico solo che lo stesso calo di spettatori negli stadi è in parte dovuto anche alla difficoltà di identificarsi con una squadra, di sentirsi componenti di una comunità. E intanto questo gran numero di stranieri crea problemi pure alla Nazionale».