Libero, 4 gennaio 2016
Bianca Berlinguer difende Minzolini: «Un direttore ha il diritto di cambiare un conduttore»
A Roma la sinistra è ancora senza candidato sindaco. Sai che per Renzi la tua candidatura sarebbe la quadratura del cerchio?
«È un’ipotesi che neanche prendo in considerazione. In passato, più volte, mi è stato chiesto di candidarmi per le Europee, per le Politiche e per le Amministrative. Ma mi piace ancora troppo fare la giornalista. La politica è certo una grande passione, ma per ora intendo continuare a seguirla da cronista, osservatrice e commentatrice. Tuttavia mai dire mai».
Ma se chiama la Capitale…
«Per governare Roma oggi ci vuole innanzitutto uno che conosca la città come le sue tasche e che abbia la forza e il consenso per agire come un despota illuminato. La città è in una condizione di degrado totale. I guai maggiori provengono dalla giunta Alemanno e Marino non è riuscito a porvi riparo. Un solo esempio: abito vicino al centro e l’altra sera mentre portavo fuori il cane mi sono imbattuta in due gabbiani grandi come molossi che pasteggiavano tra la spazzatura. Un fatto indegno di una città civile».
Tanti colleghi eletti poi sono tornati al mestiere. Pensi sia giusto?
«Credo che un periodo di decantazione sia utile. Ma resta una scelta di buon gusto e di opportunità, più che di veti e proibizioni, perché i giornalisti non sono come i magistrati...».
Per loro non dev’esserci ritorno?
«Diciamo che se un giornalista è fazioso, se ne accorgono tutti e immediatamente. Per i magistrati è diverso ed è quanto mai opportuno che non tornino a indagare e a giudicare nello stesso territorio dove operavano prima dell’ingresso in politica».
Perché i giornalisti sono diventati i candidati preferiti dai politici?
«Perché, specie quelli che si vedono in tv, godono di notorietà e quindi, si suppone, di consenso. E poi perché appaiamo contigui alla politica, ma questo non è un bene né per noi né per i partiti. Se entrambe le categorie sono così in crisi è anche perché sembrano simili. Noi giornalisti siamo forse troppo vicini ai leader politici, tanto da rischiare di assorbirne i difetti».
Non sono molti i nostri colleghi che si sono fatti onore in politica…
«I partiti sono profondamente cambiati, non più capaci di creare gruppi dirigenti, e quindi credono di rinnovarsi semplicemente sostituendo i politici di professione con coloro che quotidianamente parlano e scrivono di politica o con personaggi noti esclusivamente per meriti ottenuti in altri campi: pubblici ministeri, attori, banchieri, perfino astronauti e calciatori».
II giornalista politico del momento è Minzolini, tra l’altro diventato direttore di un tg Rai insieme a te…
«Beh direi che lui ha fatto parlare di sé più come direttore del Tg1 che come parlamentare, e non è un caso».
È stato condannato a 4 mesi di carcere per aver tolto dal video Tiziana Ferrario. Sentenza ingiusta?
«Non ho letto la sentenza, ma è impensabile che un direttore non abbia il diritto di cambiare un conduttore. Certo, gli resta il dovere di riconoscere al giornalista sostituito un ruolo altrettanto significativo».
Quanto potere ha in realtà il direttore di un tg Rai?
«Ha tutti i poteri di cui dispone qualsiasi altro direttore. Penso soprattutto ai contenuti, alla possibilità e alla responsabilità di decidere la gerarchia e il peso delle notizie. Se il direttore di un tg Rai vuole essere davvero autonomo e indipendente, può esserlo».
Influenza davvero il consenso?
«Né più né meno di un altro organo di informazione. Parliamo a tante persone ma ogni tg ha un pubblico diverso. Il nostro è molto esigente, ipercritico e poco istituzionale. Quanto a condizionarlo davvero, dipende dalla capacità di essere autorevole. Ma questo è un risultato terribilmente difficile da raggiungere e mai definitivo».
Dal Pd sono partite delle bordate contro la tua direzione…
«All’origine dell’irritazione di alcuni politici, c’è la delusione per la nostra rinuncia a quel rito vuoto che era il pastone. Quel servizio che riporta per veloci frammenti le parole degli esponenti di tutti i partiti, una gratificazione irrinunciabile per quegli stessi politici ma un incomprensibile e noiosissimo minestrone per il povero ascoltatore. Io quel pastone l’ho abolito dal primo momento della mia direzione. E ti assicuro che questa scelta è stata tutt’altro che apprezzata dai partiti, che si sentono esclusi solo perché quel giorno la voce di qualcuno di loro non si è sentita. Non sarà forse meglio un’intervista a rotazione, e più lunga, che consenta di far capire più chiaramente al pubblico il proprio pensiero?».
Dicono che fai un tg troppo grillino, cosa rispondi?
«È un errore grave giudicare un tg dallo spazio riservato in un solo giorno o addirittura in una sola edizione a questo o quel partito. È la legge che ci impone di riequilibrare entro un determinato periodo di tempo il peso assegnato alle varie formazioni: ed è proprio per questo che, se si valuta una sola edizione del nostro tg, si può avere un’immagine sfalsata. Per esempio, dopo un tragico evento internazionale come gli attentati di Parigi è stato inevitabile dare molta voce al governo, in quanto rappresentante istituzionale del nostro Paese e voce minore a Cinquestelle e agli altri partiti. Così che, poi, li abbiamo dovuti per così dire risarcire, come vuole la legge. E d’altra parte, non si dimentichi che Cinquestelle è per consistenza elettorale il secondo partito italiano».
Cosa ne pensi della riforma Rai appena licenziata dal Parlamento?
«Immaginavo una riforma più di sistema, che sarebbe stata utile anche per favorire la competizione tra i vari soggetti televisivi. Invece mi sembra ci si sia concentrati soprattutto sui criteri di nomina del consiglio d’amministrazione e del direttore generale».
Non mi dire che ti senti anche tu una precaria Rai?
«La precarietà è la condizione di tutti i direttori del mondo, anche se una precarietà tra virgolette e di lusso. È vero che siamo continuamente messi in discussione, ma non siamo più nella fase in cui i direttori dei tg cambiavano a ogni scossone della politica. Da qualche tempo anche continuità e competenza sono considerati valori».
Sai di essere l’ultimo direttore di Berlusconi?
«Mi ha eletto all’unanimità l’intero consiglio d’amministrazione, compresi i rappresentanti della destra».
Beh, però Berlusconi ha premiato una giornalista da sempre molto critica con lui. Gli sei riconoscente?
«Non esageriamo. Spero siano state apprezzate la mia serietà e correttezza; a prescindere dalle posizioni politiche e ideologiche, anche nel centrodestra c’è sempre stato chi ha voluto riconoscerlo. Tra i primi, la Santanchè»
Da 1 a 10, quanto sei faziosa?
«Zero, io non mi ritengo faziosa».
Ma se ti chiamano la zarina…
«Così mi ci chiamate voi sul vostro sito e mi dovete spiegare il perché. Quando una donna assume un ruolo di responsabilità, le viene sempre appioppata questa etichetta».
Zarina dà all’immagine di donna di potere con un sapore sovietico. Non ti ci sei affezionata un po’?
«Pre-sovietico, semmai. E la finiamo qui».
Ok scusa, modifico la domanda: da 1 a 10 quanto ti senti di parte?
«Non mi sento di parte. Non esiste l’obiettività, tutti noi quando diamo una notizia, anche la più neutrale, trasmettiamo, magari inconsapevolmente, un orientamento. La correttezza va cercata, come mi ha insegnato Sandro Curzi, nel comunicare la varietà degli orientamenti possibili rispetto a quella stessa notizia: ovvero tutti i molteplici aspetti della realtà».
Pluralista Telekabul?
«Sì, è stato Curzi il primo a dare spazio in tv alla Lega e anche a Fini e alla svolta dell’Msi. Lui era un condottiero. Aveva passione, idee e intuizioni, e ha fatto un grandissimo Tg3».
Fu cacciato per i suoi pregi?
«Me lo sono chiesta più volte. Direi che quando sono arrivati i professori in Rai, volevano dare il senso del cambiamento e di una nuova stagione. E hanno mandato via uno come Curzi, colpevole solo di avere una forte identità».
Hai lavorato con Santoro. Pare tramontato con Berlusconi. Pure lui vittima dei cambi di stagione?
«Santoro, come sempre, è il più lucido. Si è reso conto in anticipo della crisi dei talk show e del suo stesso modello di tv, legato a una fase politica diversa, in cui lo scontro era più acuto di quanto sia oggi. Credo che Michele stia studiando qualcosa di nuovo».
Perché i talk show sono in crisi?
«Perché oltre al cambiamento di clima politico, soffrono di un’irresistibile tendenza alla ripetizione e alla reciproca imitazione e questo a prescindere dalla bravura di chi li conduce. E poi è stato un errore allungarli oltre le due ore, costringendoli così a salti tematici al loro interno».
Funziona solo la Gruber…
«È molto brava e ha azzeccato la formula: 35 minuti, un solo argomento da approfondire, legato al fatto del giorno, due o tre ospiti competenti».
Cosa servirebbe per rilanciare l’informazione in tv?
«Mi piacerebbe il ritorno alla cosiddetta seconda serata: approfondimenti, tempi accettabili e grande spazio alle immagini, che restano poi il pezzo forte del mezzo televisivo. Oggi in tv diamo troppo peso alle parole».
Ti piacerebbe essere tu a sperimentare una nuova formula d’informazione in seconda serata?
«Certo. Ma non è un’autocandidatura. Di questi tempi, meglio non autocandidarsi, non si sa mai cosa può succedere».
Guardi molta tv?
«Tantissima. Qui a Saxa Rubra tutto il giorno e a casa la sera mi capita spesso di tirare tardi davanti allo schermo. Seguo tutto, tranne i quiz».
Chi ruberesti alla concorrenza?
«Maria De Filippi, un grandissimo talento. Sa innovare, sa fare spettacolo, e in questo momento è lei che sta tenendo in piedi Mediaset. Il suo “C’è posta per te” è tra i miei preferiti».
Perché non scrivi un libro su tuo padre, sull’eredità che ha lasciato alla sinistra, su com’è cambiata?
«Non credo che spetti ai figli celebrare la figura pubblica dei padri».
Ma almeno sul vostro rapporto, su cosa ti ha lasciato. Sei in una condizione unica…
«Non ne scrivo per pudore. Tra gli insegnamenti di papà c’è quello che vita pubblica e vita privata vanno tenute distinte. E questo desiderio così forte di riservatezza è probabilmente all’origine del luogo comune sulla sua presunta malinconia: manifestava la sua allegria e la sua gioia di vivere innanzitutto nella dimensione privata. Un libro però lo sto preparando…».
Davvero? E di cosa tratta?
«La storia di una donna speciale, Marcella Di Folco, delle sue passioni e delle sue sofferenze».
Si vocifera che in casa Berlinguer siate delle Erinni…
«Ma che Erinni ed Erinni? Certo siamo donne autonome, d’altronde la Sardegna è terra di matriarcato. E nostra madre, che pure sarda non è, ci ha offerto un modello non dissimile».
Quest’aria austera è un’eredità di tuo padre? Avresti potuto giocare con la telecamera come fa qualche collega, provare a fare la star…
«Non sono stata cresciuta così, sono e voglio essere una giornalista. E visto che mi capita spesso di trattare questioni drammatiche, tendo a immedesimarmi in ciò che dico».
Tuo padre manteneva quattro figli con lo stipendio di un metalmeccanico. Se lo facessero i politici oggi forse Grillo non sarebbe al 30%...
«Forse. Ma era una regola del Pci che valeva non solo per mio padre ma per tutti i parlamentari comunisti. E per funzionari, impiegati e militanti a tempo pieno dell’organizzazione».
Ti manca Berlusconi?
«No, ma credo che sarebbe un bene per tutti, in primo luogo per il Paese, se il centrodestra trovasse un leader moderato in grado di guidarlo, così da diventare davvero competitivo con lo schieramento di centrosinistra».
E lo scandalo Banca Etruria come finirà?
«Chi vivrà, vedrà. Davvero, non so».