il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2016
Quant’è triste piazza Navona senza porchetta e caldarroste
Piazza Navona, fa freddo e non ci sono più i panini con la porchetta. Neppure le bancarelle con pastori del presepe regolarmente made in China, né il tirassegno, meno che mai la calzona della befana con i colori della “maggica”, o della Lazio, assenti all’appello anche banchi con lo zucchero filato, bianco tradizionale, o colorato, e quelli con stupefacenti attrezzi da cucina che tagliano, sfilettano, modellano zucchine e carote. Tutti li comprano, tutti vogliono sentirsi masterchef, ma quelle diavolerie funzionano solo nelle mani dell’abile venditore. E poi banchetti dove si fa la pesca dei pacchi e dei paccotti, rivendite di t-shirt con scritte mostruose, giocattoli che si ispirano all’ultimo Star Wars, chincaglierie, cineserie, finte sete lavorate da mani bambine in qualche bidonville del Bangladesh. Al posto loro banchi e tende della solidarietà. Ci sono i prodotti di “Made in jail”, magliette, bracciali e serigrafie fatte dai detenuti delle carceri romane. C’è l’operatore della Croce Rossa che mostra ai bambini come si può rianimare una persona con la respirazione bocca a bocca. Ci sono i concerti dell’orchestra di Santa Cecilia, il laboratorio e la tombola dei diritti umani organizzata dall’Amref, la campagna dell’Unicef “bambini in pericolo”. E clown, giocolieri, maghi: è la Befana di Piazza Navona ai tempi della Roma senza sindaco e senza politica.
Come si cambia
Una storia tutta da raccontare. Anche l’anno scorso Ignazio Marino, allora sindaco sulla cresta dell’onda e non ancora insidiato dalle “armate fiorentine”, cercò di riportare alla normalità di una grande capitale europea la “tradizionale fiera della befana”. Di evitare che, anche sotto il suo regno, e come accadeva praticamente da sempre, con ogni sindaco e sotto le amministrazioni di tutti i colori, Piazza Navona venisse trasformato in un suk. Fu battaglia dura, con i bancarellari in piazza a protestare contro il bando (non se ne faceva uno da almeno 12 anni), la città invasa da manifesti contro il “marziano” e a difesa “dei valori e della tradizione”. E Marino isolato. Ma alla fine il sindaco vinse. Quest’anno l’obiettivo era più ambizioso, trasformare la fiera in una rassegna delle eccellenze gastronomiche e artigianali, per non lordare una delle piazze più belle del mondo con cianfrusaglie varie e insopportabili odori di olii fritti. La storia è nota, c’era un bando, fatto dal I Municipio, annullato in tutta fretta dal commissario Tronca dopo i pesanti rilievi dell’Anticorruzione. In sintesi, ancora una volta, e nonostante l’inchiesta “Mafia Capitale”, quel bando presentava irregolarità formali e sostanziali evidentissime. Per come era stato scritto favoriva la lobby dei bancarellari, e tra queste la più potente e famosa, quella della famiglia Tredicine.
Tesoro nascosto
Un impero che nella Capitale muove soldi e consensi elettorali. Attenti, perché quando parliamo delle bancarelle a Piazza Navona, non stiamo parlando di “tradizione”, pastorelli, alberelli di Natale e cose così, ma di affari, soldi, se è vero che la media di incasso di una bancarella piantata per due settimane sotto la fontana del Nettuno va dai 50 ai 60mila euro. Tredicine, un nome e una storia a Roma, una città nella città, con sue leggi, proprie regole, e soprattutto fittissimi legami politici. La saga inizia con Donato, abruzzese di Scavi, 886 anime in provincia di Chieti. Sessant’anni fa, il signor Donato lasciò al paesello i suoi cinque figli e decise di farsi in corriera i 225 chilometri che lo separavano dalla capitale. Di giorno si rompeva la schiena nei cantieri edili, la sera vendeva caldarroste al centro. Castagna dopo castagna, freddo dopo freddo, licenza dopo licenza, Donato mise su un impero. La “Apple” del commercio ambulante a Roma, città che ha 1350 autorizzazioni per vendere fuori dalle aree “mercatali”, 4mila operatori con postazioni fisse nei 130 mercati rionali, 2mila commercianti ambulanti. I Tredicine, passati ormai i tempi della caldarroste, sono la famiglia leader nel settore. Inchieste giornalistiche calcolano in almeno 27 milioni di euro il loro giro d’affari. Sono camion bar, tutti contrassegnati dal numero 13 circondato da una corona di alloro, almeno 42 dei 68 posti disponibili nel centro storico.
L’holding della famiglia, al padre sono subentrati i figli Mario, Alfiero, Elio, Dino e Dario, controlla, direttamente o indirettamente, la metà (150 su 300) delle postazioni di vendita “storiche”. Il commercio ambulante a Roma è una miniera d’oro. Qualcuno si è azzardato a fare qualche calcolo ed è venuto fuori che una postazione fissa per la vendita della frutta posizionata nei punti nevralgici del centro storico, può rendere fino a 30mila euro al mese. Vendere gelati al Colosseo non meno di 7mila.
Relazioni e potere
Ma Tredicine significa anche relazioni e potere. Nel sindacato della categoria, dove la famiglia occupa posti chiave con Alfiero alla Apre-Confesercenti, Mario alla Confcommercio e Dino alla Cisl, e nella politica. Era toccato a Giordano il compito di scalare i vertici del Campidoglio e di Forza Italia. Una macchina del consenso notevole, quella del ragazzo che riuscì a diventare vicepresidente dell’Assemblea Capitolina, e numero due di Berlusconi nel Lazio, fatta di “feste dei nonni” gentilmente offerte, circoli sul territorio, centri di assistenza per Cud, pensioni e pratiche di lavoro disseminati nel quartiere Appio latino. Quando al giovane Giordano chiesero se ambiva a diventare sindaco di Roma, lui rispose con un sorriso e un “perché no?”. Poi arrivò l’inchiesta Mafia Capitale, i rapporti con Buzzi e Carminati, e tutto finì con arresti domiciliari e processo. Come in una brutta notte della Befana senza più bancarelle. Al loro posto, nella fredda Piazza Navona, i romani hanno trovato i banchetti di Emergency, Amnesty, Unicef, Croce Rossa. Meno cianfrusaglie e business, più impegno. L’unico scontento è il senatore Maurizio Gasparri, che l’altro giorno ha protestato per la presenza di una associazione gay. “Dal presepio all’utero in affitto”, ha tuonato sui social network. Nessuno gli ha dato retta.