Il Messaggero, 4 gennaio 2016
I servizi segreti italiani pubblicano un libro per raccontare (con ironia) la loro storia
«La professione di spia ha perso ogni ragione di essere: adesso la sua funzione la svolge la stampa», diceva Oscar Wilde. E chissà cosa avrebbe detto oggi lo scrittore irlandese, nell’era dei social network, dove basta avere un computer o un cellulare a portata di mano per spiare le vite degli altri. Ma c’è stato un periodo, almeno fino alla seconda guerra mondiale, in cui quello della spia, o dell’agente segreto, veniva considerato un mestiere temuto dai governi e dall’opinione pubblica.
Per scoprire quel periodo e conoscere la figura della spia nel tempo, attraverso gli occhi della storia, della letteratura, del cinema, del fumetto e dell’illustrazione, all’insegna dell’umorismo e della leggerezza, bisognerebbe leggere I colori dell’intelligence (pp. 300, 19 euro), appena pubblicato dalla Nuova Argos, marchio editoriale della stessa intelligence italiana, che ha voluto raccontare la propria attività affidandosi all’autoironia.
GRANDE GUERRA
Una delle paure della Grande Guerra era che qualcuno dicesse una parola di troppo. Nei manifesti e nelle cartoline illustrate che venivano inviate a casa, si invitava a tenere la bocca chiusa, a rimanere in silenzio, a non fidarsi di nessuno, perché potevano nascondersi ovunque dei nemici interni. In Italia gli illustratori mettevano in cattiva luce gli austriaci e i tedeschi, raffigurandoli come «barbari invasori, ottusi e sanguinari, dediti al saccheggio e alla distruzione», e sulla copertina del settimanale satirico francese «La Baïonnette» appariva il disegno di una donna con il volto preoccupato e triste, con l’indice puntato a chiudersi le labbra, e un piccolo messaggio in basso che diceva «Taisez-Vous! Méfiez-Vous!» («Tacete! Diffidate!»). E poi l’immagine leggendaria della danzatrice olandese Mata Hari, una delle donne più corteggiate dell’epoca, fucilata nel 1917 per la sua attività di spionaggio per conto dei tedeschi. Un po’ come Rowena, uno dei tanti personaggi inventati da Hugo Pratt, cui Corto Maltese dice: «Perché le donne che m’interessano si trovano sempre dall’altra parte?».
PROPAGANDA
Durante la seconda guerra mondiale le paure non cambiano, e la propaganda viene affidata ancora una volta ai security posters, dai manifesti di Gino Boccassile a quelli di Abram Games, che si accorge dell’effetto e della forza delle immagini, che colpiscono più degli slogan. Ma un ruolo più importante spetta ad Alan Turing, il famoso matematico che aveva lavorato come crittografo al servizio del Department of Communications inglese, e che grazie alla sua grande invenzione, la macchina Enigma, era riuscito a decifrare i codici usati nelle comunicazioni tedesche.
LA CIA
Nel corso del Novecento, quindi, anche grazie alla nascita della CIA, l’agenzia di spionaggio statunitense, l’agente segreto, un funzionario pubblico che difende gli interessi del suo paese, è pronto a diventare un personaggio letterario e cinematografico, e a finire nei fumetti e nelle vignette satiriche. Insieme a La spia di Maksim Gor’kij, vengono pubblicati i romanzi di spionaggio di Graham Greene, tra cui Il terzo uomo che diventerà un film interpretato da Orson Welles, fino ad arrivare all’agente segreto più famoso del mondo, James Bond, matricola 007, creato da Ian Fleming, e che al cinema si presenterà presto nelle sembianze di Sean Connery e di tanti altri. Ma intorno alla metà degli anni Cinquanta, Hitchcock si accorge che non serve lavorare per i servizi segreti o indossare uno smoking per diventare una spia. Basta rimanere a casa, sedersi davanti alla finestra e osservare attraverso un binocolo le vite degli altri.
I FUMETTI
Ma prima ancora di Fleming e di Hitchcock, nella seconda metà degli anni Trenta, è Topolino a vestire i panni dell’agente segreto, e viene incaricato dal Maggiore Beagle di recuperare i piani trafugati da Gambadilegno. Una ventina di anni dopo Jacovitti, fumettista geniale e innovativo, inventa una sorta di caricatura dell’agente segreto, il giornalista-detective Tom Ficcanaso, un personaggio buffo e pasticcione, che è preda della comicità del suo autore, che punta tutto sui giochi di parole e sul nonsense.
I colori dell’intelligence si rivela un libro ricco e divertente, fatto più di immagini che di parole. Già dalla copertina, battezzata da un disegno di Altan, il lettore capisce che quello della spia è un mestiere così serio che è impossibile non scherzarci su. E viene in mente la scena finale di Burn after reading, diretto dai fratelli Coen, in cui il presidente della CIA parla con un suo agente, e alla fine gli confessa: «Forse abbiamo imparato a non farlo più, anche se non so che cosa abbiamo fatto».