Il Fatto Quotidiano, 4 gennaio 2016
La diciassettesima legislatura, quella della transumanza parlamentare
Chissà cosa penserebbe Agostino De Pretis, il cui governo, nel 1882, fu il primo a dare il via al trasformismo politico con l’apertura del suo esecutivo a tutti coloro che volevano appoggiarlo, specialmente a destra, al di là dei partiti di origine. L’attuale legislatura, infatti, finora può vantare il record di cambi di casacca, con 325 migrazioni tra Camera e Senato in poco più di due anni e mezzo, per un totale di 246 parlamentari coinvolti, perché alcuni di essi si sono mossi più di una volta. Praticamente un terzo degli eletti ha cambiato maglia. Una bella differenza con la Prima Repubblica, dove si registravano una media di 12 passaggi l’anno. Nella Seconda siamo arrivati a una media di 55 cambi, che hanno coinvolto il 13 per cento degli eletti. Ma è in quest’ultima, la XVII, che il trasformismo ha raggiunto il clou: ormai siamo alla mimetizzazione a seconda del clima e della vegetazione, come alcuni animali dei paesi tropicali. Così il trasformismo, termine che in passato aveva un’accezione negativa, negli ultimi anni si è fatto regola quotidiana, metronomo dell’azione politica, registro contabile delle scosse telluriche del Palazzo.
In Parlamento, infatti, cambiare partito o gruppo è ormai considerato normale come bere un bicchier d’acqua. Naturalmente chi si sposta lo fa quasi sempre per convenienza e ritorno personale, ma è bravo a mascherarlo. Il trasformista, infatti, a suo dire, è sempre fedele a se stesso, sono sempre gli altri a cambiare opinione. “Pensiamo che sia necessario continuare a sostenere il governo Letta”, disse Angelino Alfano al momento dello strappo da Silvio Berlusconi (30 senatori e 29 deputati usciti da Fi). “Io credevo nel patto del Nazareno e voglio continuare ad appoggiare l’esecutivo Renzi”, ha sostenuto più di recente Denis Verdini, giustificando così l’addio a Forza Italia (9 deputati e 17 senatori strappati a Fi e Gal). Si cambia per restare coerenti alla propria azione politica. Guarda caso, però, quasi sempre in soccorso dei vincitori e del governo, quasi mai il contrario.
Gli ultimi in ordine di tempo sono, anche in questo caso, due ex berlusconiani di ferro, Sandro Bondi edEmanuela Repetti che, dopo aver abbandonato Forza Italia per passare al Misto, sono confluiti in Ala. Poco prima era toccato a Gaetano Quagliariello che ha fatto una scelta in controtendenza, abbandonando un partito della maggioranza, l’Ncd, per confluire nel Misto. In controtendenza ancheMaria Tindara Gullo, deputata del Pd sbarcata ora in Forza Italia come conseguenza della sua fedeltà politica all’ex dem Francantonio Genovese. Infine c’è la grillina Serenella Fucksia, ultima espulsa dal M5S, che probabilmente si iscriverà al gruppo misto del Senato. E i cambi di casacca hanno contribuito a ingrossare a dismisura proprio le file del Misto, che a Montecitorio è diventato il terzo gruppo con 62 deputati (presidente è Pino Pisicchio), mentre a Palazzo Madama è il quinto con 27 senatori (alla guida c’è Loredana De Petris di Sel). Un crocevia in continuo movimento, perché se alcuni si fermano e vi sostano a lungo, altri sono di passaggio, in attesa di una più degna collocazione.
Ma chi sono i transfughi d’oro della XVII legislatura? A farla da padrone ci sono gli 83 fuoriusciti da Forza Italia, partito che dal 2013 a oggi ha visto staccarsi tre costole: l’Ncd di Alfano, i Conservatori e riformisti diRaffaele Fitto (11 deputati e 10 senatori) e il gruppo Ala di Denis Verdini.
Poi pesa l’implosione di Scelta civica, partito che, dopo l’addio di Mario Monti, con 44 abbandoni ha subìto un tracollo: ora restano 23 deputati. Ma contano anche i 12 parlamentari fuoriusciti da Sel e i 9 della Lega, che hanno seguito il sindaco di Verona Flavio Tosi. Infine c’è il Movimento Cinque Stelle che, tra epurati e fughe, ha perso per strada 36 persone. Esulta invece il Pd, con 24 componenti in più, in arrivo per lo più da Sel (tra cui Gennaro Migliore e Titti Di Salvo) e Scelta civica (come Andrea Romano eIrene Tinagli). Quando si dice salire sul carro del vincitore.
Per quanto riguarda i singoli, una menzione speciale la merita Dorina Bianchi, una vera recordwoman, che anche in questa legislatura non si è fatta mancare un passaggio: da Forza Italia ad Area popolare. In precedenza si era lasciata alle spalle Udc, Margherita, Pd, ritorno nell’Udc e infine Pdl. Altro trasmigratore seriale è Benedetto Della Vedova, che, dopo gli inizi da radicale e anni di militanza azzurro-pidiellina, ha abbracciato Scelta civica per poi confluire anch’egli nel Misto. Ma in questa legislatura vanno citati anche Bruno Tabacci (dal Misto a Per l’Italia), Paola Binetti (da Sc ad Area popolare), Linda Lanzillotta (da Sc al Pd), Aldo Di Biagio (da Sc ad Ap), Vincenzo D’Anna (dal Fi-Pdl a Gal e poi Ala). Ma ci sono anche Massimo Corsaro, che prima ha lasciato Berlusconi per Fratelli d’Italia, salvo poi confluire nel Misto; Fucsia Nissoli, che se ne va da Sc per fare un passaggio al Misto e poi tornare in Sc e atterrare infine in Per l’Italia; Adriano Zaccagnini che, uscito dal M5S, è transitato per il Misto prima di approdare in Sel. Tanti sono anche gli indecisi, che fanno una scelta, poi tentennano, si struggono e alla fine ci ripensano. Come Alberto Giorgetti (da Fi ad Ap poi di nuovo in Fi), Stefano Quintarelli (da Sc a Pi e ritorno), Luigi Compagna (misto, Gal, Ncd, Ap, poi di nuovo Gal) e Paolo Naccarato (Lega, Gal, poi Ap e ancora Gal). Veri professionisti delle giravolte al cui confronto Antonio Razzi e Domenica Scilipoti, che nel dicembre 2010 abbandonarono l’Idv per entrare nei Responsabili a sostegno del governo Berlusconi, sono due educande.
Insomma, il Palazzo come una grande porta girevole, dove si entra e si esce con il massimo della disinvoltura. Ma gli spostamenti comportano anche una discreta girandola nei finanziamenti che il Parlamento assegna ai gruppi.
Denaro che, con l’abolizione del finanziamento pubblico, è diventato la principale risorsa a disposizione delle forze politiche. Da inizio legislatura, infatti, le presidenze di Montecitorio e Palazzo madama hanno elargito ben 106,7 milioni di euro ai gruppi, ovvero 50 mila euro a deputato e 67 mila a senatore. Nel 2018 si arriverà a un totale di circa 250 milioni.
I cambi di casacca, quindi, hanno il loro risvolto economico, visto che finora 18 milioni di euro si sono spostati da un gruppo all’altro grazie ai trasformisti (secondo uno studio di Openpolis). Ogni parlamentare che se ne va costa al partito un bel po’ di soldi.
Staccarsi e dare vita a una nuova componente è anche un affare.