La Stampa, 4 gennaio 2016
È morto Larry Gordon, l’uomo che rivoluzionò il surf
Dietro lo splendore dorato di quella estate senza fine, stesa fra l’inizio degli Anni 60 e la fine dei 70. Dietro quei mercoledì da leoni, passati a domare onde alte un palazzo. Dietro le good vibration dei Beach Boys e il sogno di un mondo diverso, pace e amore (e un po’ di fumo) da distribuire sulle spiagge della California e delle Hawaii, comunque lontano da Wall Street e dagli orrori della guerra del Vietnam. Dietro tutto questo, anzi, meglio, sotto quell’infinita illusione c’era lui, Larry Gordon. L’uomo gentile che alla fine degli Anni 50 iniziò a lavorare tavole diverse, longboards realizzate non più in balsa, ma in schiuma di poliuretano. Un materiale nuovo, leggero, resistente che trasformò il surf dei pionieri in uno sport di massa, praticabile anche da chi avrebbe faticato a cavarsela con i vecchi attrezzi di legno pesanti e facili al naufragio, parenti non troppo lontani delle assi che il capitano Cook a fine 700 aveva visto manovrare dai polinesiani di Tahiti.
Mercoledì da leoni
Gordon è morto a 76 anni, dopo una lunga battaglia con il Parkinson, e la comunità dei surfer su Twitter lo ha pianto come si fa con un santo gentile, capace di miracoli quotidiani. Era nato a Chicago ma a tre anni era migrato con la famiglia sulla West Coast. A San Diego aveva studiato chimica e proprio miscelando i materiali che uscivano dalla Gordon Plastics, l’azienda paterna, la sua esperienza di ottimo surfer e la magia che si ritrovava fra le mani iniziarono a sfornare tavole magiche nel garage di Pacific Beach del suo amico e socio Floyd Smith. Era il 1959, l’anno giusto nel luogo giusto. Una California che aveva voglia di trovare l’onda perfetta e un karma diverso sulle tracce di Jack Kerouac e degli hipster; un’America diversa, composita come i nuovi materiali che usava Gordon. Fatta di studenti in cerca di un pomeriggio diverso, di ingegneri della mitica Caltech, il California Institute of Technology, come Bob Simmons, il primo a pensare che si potevano cavalcare le onde poggiando i piedi su tavole vuote, fatte in fibra di vetro, o Hugh Bradner, l’inventore delle tute da sub in neoprene. Ma anche dei compagni della gang dell’Amore Fraterno, che partendo dall’Orange County, illuminati dagli esperimenti del teorico dell’LSD Timothy Leary, cavalcando le onde misero insieme uno dei più potenti cartelli di narcotraffico degli Anni 60. Gordon, lontano da quei cliché riassunti a meraviglia da Kathryn Bigelow nell’ambiguità mozzafiato di Point Break (sta uscendo il remake, non perdetelo), era piuttosto un guru gentile che prima di surfare la mattina si riuniva in preghiera con gli amici. E fornì a due o tre generazioni lo strumento ideale per navigare lungo i propri sogni. Non il primo a usare il poliuretano, ma il primo a farlo in grande stile, fiutandone le potenzialità commerciali.
Un marchio simbolo
«C’è stato un momento – scrivono oggi gli storici di quello sport – in cui possedere una tavola G&S era il sogno di tutti i giovani americani» e anche dei campioni che amavano correre per Larry, sponsorizzati dal suo marchio, negli States o in Australia. Come Larry Crow, che la sua prima tavola G&S la comprò nel 1965, con i 5 dollari guadagnati facendo lo strillone: «Tutti i più forti là fuori nell’oceano surfavano con una G&S. Mi sentii in Paradiso». Gordon con il suo marchio, poi allargato al mondo dello snowboard, è riuscito a sopravvivere alla rivoluzione delle shortboard, le tavole corte, ha ceduto l’attività alla figlia Debbie ma è rimasto fino all’ultimo il consigliere illuminato della comunità. Negli ultimi anni, quando la malattia lo aveva colpito, continuava a uscire in mare, inginocchiandosi sulla tavola se non poteva più stare in piedi, cercando comunque il respiro mistico dell’Oceano. A chi lo incontrava di mattina al Tourmaline Surfing Park di Pacific Beach, rispondeva sorridendo: «Certo che vado a surfare. O almeno ci provo».