Corriere della Sera, 4 gennaio 2016
Che cos’è il wahhabismo
Il wahhabismo è nato nella Penisola Araba a metà del diciottesimo secolo. Deve il suo nome al fondatore, Muhammad ibn Abd al-Wahhab. La sua predicazione iniziò nell’altopiano desertico del Najd, sostenendo il ritorno alla presunta purezza della fede predicata da Maometto. Corano e Sunna del Profeta dovevano essere le uniche fonti di ispirazione per i fedeli. Tutte le differenze tra le scuole giuridiche e ancor di più le sette sciite erano rigettate. Le forme di culto popolare come le celebrazioni di santi mistici oppure le visite a tombe di figure eminenti cancellate. E chi non eseguiva tutti i doveri e i precetti religiosi era considerato alla stregua di un miscredente contro cui si poteva persino proclamare il jihad.
Il movimento dei seguaci di Muhammad ibn Abd al-Wahhab non era diverso da molti altri movimenti di riforma che hanno segnato la storia dell’Islam. Le sue fortune sono legate all’alleanza con il clan degli Al Sa‘ud che, nel 1744, ne abbracciò visione e concezioni. E che, fin dall’inizio, ne sostenne le prime azioni: distruzione di tombe e luoghi di culto in odore di paganesimo e attacchi contro gli sciiti della penisola perché considerati eretici.
Proprio in uno di questi attacchi, nel 1801, i seguaci wahhabiti fecero un’incursione a Kerbela, uccidendo un buon numero di abitanti, e distrussero il santuario sciita dell’imam Hussein. Negli anni immediatamente successivi la stessa sorte fu riservata ai monumenti storici della famiglia del profeta Maometto, quando i wahhabiti conquistarono la città di Medina.
Il rigido dettato che vuole ogni forma di culto riservata solo a Dio e a nessun uomo, fosse anche Maometto, li ispirava in queste azioni. E provocarono la reazione ottomana, che nel 1818 li cacciò sia da Mecca che Medina.
Nel 1924, il clan degli Al Sa‘ ud ritornò a controllare tutta la Penisola Araba, imponendo la visione wahhabita al potere e riprendendo la politica interrotta oltre un secolo prima. Ulema di stretta ispirazione wahhabita hanno creato una sorta di stato moderno, ispirandosi alle poche opere del fondatore e seguendo soprattutto la rigida scuola hanbalita.
La scoperta e l’uso delle risorse petrolifere hanno cambiato prospettive e fortune di tutto il movimento. La creazione, grazie ai finanziamenti sauditi, di oltre duemila centri culturali e moschee in tutto il mondo islamico ha permesso al wahhabismo, a partire dal 1970, di diffondersi ovunque. Allo stesso tempo, le università saudite hanno istruito migliaia di musulmani da ogni dove nel mondo islamico e ne hanno forgiato visioni e rigido tradizionalismo. E in tutto ciò, la vetrina del pellegrinaggio annuale che porta oggi più di due milioni di musulmani nella Penisola Araba costituisce una grande opportunità di propaganda per la visione wahhabita. Le fortune odierne del salafismo, che ne costituisce una varietà assai simile, sono diretta conseguenza di queste attività.
Proprio in ambito religioso i sauditi hanno dovuto spesso fronteggiare critiche e contestazioni, oltre che vari problemi interni. L’alleanza dei sauditi con gli Stati Uniti è stata spesso attaccata dagli ulema più tradizionalisti. I privilegi della casa regnante, la gestione degli immigrati che sostengono l’economia interna e l’esclusione dalla vita politica della minoranza sciita sono solo alcuni dei problemi tuttora irrisolti. E la crisi regionale, l’avversione verso altre forme di Islam politico come la Fratellanza musulmana e la frattura insanabile con gli sciiti e l’Iran ne insidiano ulteriormente ruolo e influenza.
Le sorti del wahhabismo sono ormai strettamente legate a quelle della sterminata famiglia saudita.
Ma il suo frutto più recente, il salafismo, ha ormai messo profonde radici un po’ ovunque, creando analoghi problemi in altre regioni.