la Repubblica, 4 gennaio 2016
Il vuoto lasciato da Berlusconi
È difficile rendersi davvero conto che Berlusconi non è più il centro della politica. Il muro che divide gli italiani. Antiberlusconiani contro anticomunisti. Anche se le sue dimissioni, nel novembre 2011, ne hanno segnato l’uscita dal governo. Eppure, un anno dopo, alla fine del 2012, nel Rapporto condotto da Demos, il 48% degli italiani lo indicava, ancora, come “il peggiore”. Più che nel 2004, dieci anni dopo la discesa in campo. Quando era definito “il peggiore” dal 38%. Capace, per questo, più di ogni altro politico, di suscitare sentimenti opposti, nel Paese. Ebbene, quel tempo, quel mondo è finito. Il XVIII Rapporto sugli Italiani e lo Stato, pubblicato su Repubblica la settimana scorsa, lo mostra in modo esplicito. Berlusconi, infatti, nella graduatoria dei “peggiori” del 2015 è “solo” terzo. Indicato dal 7% del campione. Non perché la sua immagine sia, improvvisamente, migliorata. Nella classifica dei migliori, non c’è proprio. Segno che Berlusconi, nel sentimento e nel risentimento politico nazionale, conta molto poco. Pressoché nulla. E questo costituisce un problema. Anche per chi non ne ha mai apprezzato né approvato il ruolo e le scelte politiche. Perché, per oltre vent’anni, la politica italiana, com’è noto, si è organizzata, strutturata, intorno a lui. Berlusconi: ha fornito riferimenti etici (e anestetici) a un Paese dove i partiti erano scomparsi, insieme alla classe politica della Prima Repubblica. Dissolti da Tangentopoli. Berlusconi ha imposto il suo modello di “democrazia del pubblico”, dove i partiti sono subordinati alle persone e ai leader, l’organizzazione è rimpiazzata dalla comunicazione. Mentre le identità e i messaggi sono elaborati in base ai sondaggi e al marketing. Nulla di nuovo rispetto a ciò che avveniva, già da tempo, altrove. Con la differenza che qui tutto è capitato all’improvviso. E il protagonista, Berlusconi, era, anzitutto, un imprenditore mediatico. Inventore e proprietario di un partito personale. Forza Italia. Da allora, la politica in Italia è cambiata profondamente. E tutto, tutti, si sono strutturati a sua immagine. I partiti si sono personalizzati e leaderizzati. Mediatizzati. I sentimenti e i risentimenti, i soggetti politici: si sono coalizzati e divisi intorno a lui. Al muro di Arcore, costruito sulle rovine della Prima Repubblica – e del muro di Berlino. Oggi quel muro non c’è più, ma il “berlusconismo”, i modelli e i (risentimenti) politici che egli ha imposto, resistono, diffusi e radicati. Tuttavia, il nostro sistema politico, insieme a Berlusconi, ha perso la “bussola”. In primo luogo, e in particolare, si è perduta la destra. Questa destra, in fondo, l’aveva inventata lui. Scongelando i post-fascisti guidati da Fini. E, coalizzando, anzi: portando al governo, la Lega padana di Bossi. Lega Nord e Lega Sud. Nazionalisti e secessionisti, uno dei tanti miracoli italiani, di cui Berlusconi costituisce un caso esemplare. Parallelamente, aveva re-inventato i comunisti. Cioè: tutti coloro che si collocavano contro. Di lui. Un vero “centro”, in questo Paese, non c’è mai stato. Eredità del bipartitismo imperfetto della Prima Repubblica. Impostato sull’opposizione fra comunisti e anticomunisti, riprodotta da Berlusconi. Fino a ieri, appunto. Perché oggi non esiste più. Certo l’eredità di Berlusconi conta ancora molto. Tutti i partiti sono mediali e personali. Anche il Pd, oggi, appare più “personale” che “personalizzato”. Mentre il leader (e premier) è abile con i media, vecchi e nuovi. Ma se Renzi è post-berlusconiano, come altri leader del nostro tempo, non è un nuovo Berlusconi. Non solo perché non è segnato dal conflitto di interessi. Ma perché, a differenza di Berlusconi, non spacca in due il sistema partitico. È molto più trasversale. Non per caso, risulta, al tempo stesso, il più apprezzato e deprecato dagli italiani. Il migliore e il peggiore del 2015. Non solo, ma la curva della fiducia nei suoi confronti, fra gli elettori, non appare “spezzata” lungo l’asse sinistra-destra. Certo, a centrosinistra è più apprezzato (meno nei settori più a sinistra). Ma anche a destra e a centrodestra dispone di consensi significativi. Berlusconi, invece, quando aveva successo, concentrava tutti i suoi consensi a destra. La sinistra, per lui, era una parola blasfema. Ma oggi Berlusconi ha smesso di fare da bussola. La principale opposizione a Renzi e al suo PdR (Partito di Renzi) è espressa dal M5s. Che raccoglie il ri-sentimento degli elettori. In modo trasversale. Parallelo al PdR. Mentre a destra non si vede un’opposizione “alternativa”. La Lega di Salvini si è nazionalizzata. È divenuta Ligue Nationale. Lepenista. Per questo, anche per questo, nei sondaggi non va oltre il 14%. Per questo, anche per questo, da sola, non ha chance di vincere le elezioni politiche. Né di governare. Da sola. Neppure in caso di ballottaggio, com’è previsto dall’Italicum. Anche per questo, la Lega di Salvini “ha bisogno” di Berlusconi. Come garante e moltiplicatore dei suoi consensi. Localizzati e troppo marcati a destra. Mentre Berlusconi, da parte sua, “ha bisogno” di Salvini. Per tornare ad essere competitivo. Anzitutto, a livello territoriale. Nelle città dove si voterà questa primavera. Dove Berlusconi, con Fi, il suo partito personale, correndo da solo, rischia non solo di perdere, ma di finire male. Messo sotto dalla stessa Lega, sul piano elettorale. Non per caso ha già annunciato la possibilità di rinunciare al marchio di Forza Italia, sostenendo solo liste civiche. Alleate con Salvini. Prove generali di un nuovo soggetto politico: Dlf. La Destra Lega-Forzista. Per scongiurare il rischio che, alle prossime elezioni nazionali, il gioco si risolva fra due soggetti politici “pigliatutti” e trasversali. Pdr e M5s. L’ultimo muro contro il crollo definitivo dei muri.