la Repubblica, 3 gennaio 2016
Storia del Nuovo Parma, precipitato tra i dilettanti, ma felice
Parma. L’inferno non è poi così male, c’è un calduccio piacevole, nessuno in città se l’era immaginato così. La squadra che vinse a Wembley ha giocato l’ultima trasferta a Bellaria Igea Marina. Là dove c’era Crespo ora segna il senegalese Baraye. Eppure il Parma, precipitato fra i dilettanti e costretto a cambiare nome, ha più di 10mila abbonati, è il 23° club in Italia per presenze allo stadio secondo le leghe. Prezzi stracciati, d’accordo (25 euro una tessera in curva), ma a due passi da qui c’è la A del Sassuolo e del Carpi. Dopo oltre vent’anni di extralusso, la città ha trovato la felicità in una dimensione locale e frugale: i giocatori, dopo l’ultima gara prenatalizia, hanno tagliato il pandoro in curva, in mezzo alla gente.
Al tavolino di un bar in piazza Garibaldi, il dg Luca Carra racconta la ricostruzione: «Il Parma Calcio 1913 è nato in una pasticceria del Barilla Center, eravamo io, Nevio Scala e l’attuale vicepresidente Marco Ferrari, non avevamo neanche una sede. La città veniva da un’umiliazione profonda a livello nazionale, adesso siamo un esempio: ci chiamano da Monza, Catania, Varese, Reggio Calabria per studiare il nostro modello societario, basato su un gruppo di imprenditori alla pari, sull’azionariato popolare e su una netta distinzione fra proprietà e società. I tempi dei mecenati sono finiti».
Il controllo del Parma appartiene alla società Nuovo Inizio: in 7 hanno versato 250mila euro, Guido Barilla a titolo personale, Paolo Pizzarotti (costruzioni), Gian Paolo Dallara (automobili), Marco Ferrari e Mauro Del Rio (new economy), Angelo Gandolfi (Erreà), Giacomo Malmesi (avvocato). La minoranza è di un’altra società, Parma Partecipazioni Calcistiche: un’azione costa 100 euro, fin qui hanno aderito 121 tifosi e 17 piccole imprese, non potranno scalare il club ma esprimere due consiglieri. Il modello contempla anche un board observer, un rappresentante nominato dai tifosi che vigilerà sull’amministrazione, dopo anni di gestione spericolata. Anche il presidente è un garante: Nevio Scala fu l’artefice della promozione in A nel ‘90, ora predica un calcio biologico, lui che dal 2004 si era ritirato nell’azienda agricola di famiglia nel Padovano. «C’è una grande similitudine fra il mio Parma e questo: non solo per i risultati, ma per i rapporti con la città, la gente, la stampa. All’inizio eravamo preoccupati, ad agosto avevamo tre giocatori appena. Ora viviamo tanti momenti di aggregazione, nello spogliatoio e con la gente». Dal passato sbucano pure il tecnico Gigi Apolloni, il capo dell’area tecnica Lorenzo Minotti e quello del vivaio Fausto Pizzi. Il leader resta Alessandro Lucarelli, gioca quasi gratis: in D il tetto salariale è di 25800 euro lordi, 21300 netti. Il monte ingaggi del Parma ammonta a 900mila euro. È primo con 7 punti sulla seconda, gioca al Tardini e si allena a Collecchio pagando solo la manutenzione, 700mila euro, le sue partite le trasmette Sky, e per una domenica anche
Tutto il calcio, alla radio. S’lluminano, di riflesso, pure gli avversari: quelli della Sammaurese, prima del viaggio al Tardini, si bullavano con i propri rivali, «Savignanesi, noi domenica su Sky, voi su Telerubicone».
In città sono nati persino due nuovi club di tifosi, il presidente del Centro coordinamento, Angelo Manfredini, spiega: «L’impatto è stato duro, siamo passati dai grandi nomi a giocatori sconosciuti. Ma ora la gente si è riappropriata della squadra, respira aria pulita. Le trasferte, con 5-600 persone, sono una festa, non c’è la tessera del tifoso, si è riscoperta una dimensione perduta». Dimenticate Veron, il nuovo idolo è Ciccio Corapi, talento imbottigliato nelle serie minori. Raccontano che la Juve lo scartò per l’altezza e che qualche tempo fa lui avesse ormai deciso di accettare un posto in una torrefazione di caffè.