la Repubblica, 3 gennaio 2016
Il ricorso al QE e i rischi di un eccesso di liquidità
Come nel 2015, l’andamento dei mercati finanziari nel 2016 sarà in gran parte determinato dalle politiche monetarie. Due i canali che legano il quantitative easing (QE) delle banche centrali ai mercati: l’effetto ricchezza; e la divergenza tra la Fed, alle prese con la fine graduale del suo QE, e le altre banche centrali, che ne faranno un uso anche più massiccio.
L’effetto ricchezza nella politica monetaria si può far risalire a Greenspan quando dovette fronteggiare il crash di Wall Street del 1987(-23% in un giorno): preoccupato dall’effetto depressivo su consumi e investimenti privati del crollo del valore delle attività finanziarie (e immobiliari), intervenne con massicci acquisti di titoli di Stato per iniettare liquidità, e con finanziamenti diretti agli intermediari. Riuscì così a isolare l’economia reale dal crollo di Borsa. Lo stesso approccio fu usato dalla Fed per far fronte alle conseguenze della guerra del Golfo (’91-’92), la crisi asiatica (’97-’98), lo scoppio della bolla internet e l’11 Settembre (2001). Il QE adottato da Bernanke nel 2008 è frutto dello stesso principio: stabilizzare l’economia di fronte a una caduta massiccia nel valore della ricchezza privata. Il successo del QE della Fed, nonostante l’inefficacia del meccanismo di trasmissione dei tassi di interesse, prossimi allo zero, ha indotto Bce, Banca del Giappone e ora anche la Cina ad adottare politiche similari.
Ma le banche centrali sono diventate vittime del loro successo: QE ed effetto ricchezza possono indurre crisi finanziarie nel lungo periodo e accrescere la volatilità dei mercati nel breve. L’assicurazione implicita che le banche centrali offrono in caso di crollo dei mercati incentiva l’azzardo morale degli investitori. La liquidità e i tassi a livelli inusuali spingono gli intermediari a prendersi più rischi per far fronte alla compressione dei margini di interesse (banche) o per continuare a soddisfare i propri impegni a lungo termine (assicurazioni e fondi pensione). Per le imprese diventa poi vantaggioso finanziare un maggior numero di fusioni e acquisizioni.
Nel 2016 non si vede alcun pericolo di crisi. Anzi, il trend dei mercati si prospetta positivo. Ma se la Fed sarà troppo graduale nel tornare alla normalità dei tassi e il ricorso al QE nel resto del mondo sarà eccessivo, non si può escludere una nuova crisi negli anni seguenti. Le Autorità sono convinte che la nuova regolamentazione prudenziale degli intermediari scongiurerà il pericolo; ma l’esperienza insegna che le nuove crisi hanno la pessima abitudine di scoppiare dove la regolamentazione non l’aveva previsto.
Se le crisi finanziarie ricorrenti sono il rischio di lungo termine delle politiche monetarie odierne, la maggiore volatilità dei mercati finanziari a breve è invece un dato acquisito; anche per il 2016. Il successo delle Banche centrali nel contrastare gli effetti reali delle crisi finanziarie ha accresciuto l’importanza dei mercati nella definizione delle politiche monetarie, e viceversa.
Così, decisioni e dichiarazioni delle Banche centrali hanno un impatto cruciale sull’andamento dei mercati. Lo abbiamo imparato anche da noi: l’annuncio del QE della Bce a gennaio 2015 fece impennare l’ indice EuroStoxx del 27% in tre mesi; mentre il disappunto per le dichiarazioni di Draghi a dicembre lo ha fatto cadere del 10% in pochi giorni. Anche se nulla è cambiato nelle prospettive di crescita di fatturato, utili e margini per le imprese, ci dobbiamo aspettare una volatilità a breve da banche centrali.
Una volatilità aumentata dalla scarsa liquidità dei mercati. L’aumento dei requisiti patrimoniali ha drasticamente ridotto l’attività di intermediazione delle banche di investimento e la loro capacità di assumere rischi, fondamentale per assicurare il buon funzionamento dei mercati, soprattutto in un momento in cui gli investitori ricercano maggiori rendimenti in bond societari, debito di paesi emergenti, prestiti e derivati sul credito: tutti mercati dove l’intermediazione è svolta dalle sole banche. Così, quando gli investitori sono prevalentemente venditori per ridurre i rischi, le banche intermediarie non se lo possono accollare, e la caduta dei prezzi è accentuata.
Infine, il perdurare della divergenza tra la Fed e il resto delle banche centrali renderà inevitabile l’apprezzamento del dollaro. A rischio saranno dunque i tanti debitori in dollari nei paesi emergenti con ricavi in valute locali.
Anche il QE non è esente da danni collaterali.