Corriere della Sera, 3 gennaio 2016
Gli 80 anni di Dan Peterson. Intervista
Ha appena fatto quattro ore mattutine davanti al computer a scrivere articoli, preparare lezioni pubbliche, aggiornarsi e studiare. Operazione che riprenderà nel pomeriggio e a sera tarda. Più di 15 ore davanti a un computer. La pausa pranzo la dedica a raccontare i suoi 80 anni che saranno battezzati il 9 gennaio: verità, testimonianze, esperienze, giudizi, la vita di Dan Peterson tra basket, televisione, pubblicità, giornalismo, svelate con spontaneità e originalità di pensiero. Al suo fianco la donna della sua vita, Laura Verga, che «risposerò il 7 dicembre del 2017...».
Scusi Dan Peterson, perché risposarsi?
«Primo perché lo vogliamo fare, poi perché dobbiamo mettere un po’ di cose a posto. La prima volta fu nel ‘97, appunto il 7 dicembre a Miami, a casa di Bob McAdoo». Per chi se lo fosse dimenticato, McAdoo è uno dei grandi campioni, per noi il più grande, che Dan ha allenato nella sua carriera di coach.
Partiamo subito Dan, nel suo miglior quintetto di sempre c’è McAdoo?
«Ovviamente. Insieme a Mike D’Antoni, Roberto Premier, Terry Driscoll e Dino Meneghin. Sesto uomo Vittorio Gallinari».
Migliori azzurri?
«D’Antoni, Meneghin, Premier, Bertolotti, Caglieris».
Chi sono i più forti adesso?
«Alla pari ora sono Gentile, Gallinari e Belinelli».
Gli ultimi due giocano nella Nba, insieme a Bargnani. Ce la farà pure Alessandro Gentile?
«Può sicuramente farcela. Ma qui in Italia sa cosa ha...».
Riuscirà a rivincere lo scudetto con l’EA7?
«Sì. La chiave di tutto è il ritorno di Livio Proli, che sta mettendo le cose a posto; e Repesa è un tecnico preparato».
Giorgio Armani segue i suoi consigli?
«Non mi permetterei mai! Lui non è il Numero Uno da 40 anni perché ha avuto bisogno dei consigli degli altri: i veri geni trovano i consigli giusti da soli».
Altro quintetto? Gli americani della sua serie A?
«McAdoo, Carroll, Carr, Schoene, Driscoll, Gianelli: sono 6 e tali devono restare».
Agli ordini coach. Perché si è messo a fare l’allenatore?
«Semplice, come giocatore ero scarso. Sono sempre stato tagliato dalla squadra del liceo. Ma un giorno, chi mi ha sempre bocciato, mi convoca nel suo ufficio per chiedermi: Dan, lei è al suo ultimo anno di high school, cosa farà all’università? Gli confidai le mie incertezze. Il mio capo allenatore, Jack Burmaster di Evanston high school, mi disse: “Lei ha le qualità per fare il coach di basket”. Fu convincente».
Quali sono queste qualità?
«È una figura complessa. La mia seconda laurea è in amministrazione sportiva. Un grande docente, Paul Hunsicker, mi ha insegnato che in un milionesimo di secondo devi essere pronto a licenziare decine di persone. Non lo farai, troverai un’altra soluzione, ma devi essere pronto a fare la scelta più difficile e delicata in un milionesimo di secondo».
Allenatore, telecronista, show e spot man, conferenziere, una vita piena.
«Sì, ma piacevole. E sa perché? Non ho mai considerato tutto questo un lavoro. Amandolo, ho sempre fatto quello che mi piaceva... Ma con grande professionalità».
Nel 1987, a 51 anni, smette di allenare e si dedica ai mille al tri impegni della sua vita, dalla Tv al giornalismo, passando per lo spettacolo. Poi nel 2011 viene richiamato dall’Olimpia Milano, ma non andò benissimo. Non smise troppo presto all’epoca?
«Fu un grave errore».
Indotto da cosa?
«Non sopportavo la sconfitta. Il dover vincere a tutti i costi, questa è la missione dell’allenatore. Stavo male... Quanto al mio ritorno nel 2011, è stata la più grande gioia della mia vita. Ho amato quella squadra, poi abbiamo fatto quello che potevamo fare». Intervengono una voce e un sorriso, sono di Donna Laura: «Dan, lo stress lo tiene tutto dentro, quindi sta peggio. Le conosco io le notti insonni, le ulcere sofferte. Da venti siamo sposati, ma è da 30 anni che stiamo insieme... (Ehi, mi ha conosciuto in via Montenapoleone 5, mica alla mutua)».
Dan Peterson, quanto sono state importanti le donne nella sua vita?
«Fondamentali. Ragionano più degli uomini, abituati a gettarsi; le donne sono invece maggiormente riflessive, portate al sacrificio, molto più professionali di noi».
D’accordo. Ma chi è stata la donna più importante?
«Mia madre Lillian. Mi ha preparato alla scuola, mi ha indirizzato al dovere, mi ha preso per mano e condotto verso l’arte, oh lei amava l’arte, e le scienze».
Suo padre, un poliziotto, lui era severo...
«No, era esigente. Come me. E poi era appassionato di sport: nuotava nel lago Michigan, ha gareggiato con Johnny Weissmuller, il Tarzan del cinema».
Perché lei è venuto a vivere e a lavorare in Italia?
«Con gli Usa, il mio Paese, è il migliore in cui vivere. Per me fu fondamentale prima dell’Italia, prima di Bologna, l’esperienza di due anni in Cile. Arrivai a Bologna, padrone dello spagnolo, di una lingua latina che mi permise di avvicinarmi preparato all’italiano. L’Italia ha tre fondamentali qualità: storia, cultura e bellezza naturale. E poi si “magna ben”, i francesi stiano zitti».
Ha inventato da telecronista un linguaggio, tutto suo, di grande successo. Perché non la chiamano più i grandi network?
«Io lavoro ancora, nel canale Tv Olimpia Milano. Abbiamo un nostro seguito...».
Ok, Dan, ma qui si intende la «sua» Mediaset, Sky, Rai, La7... Lei può essere ancora d’aiuto ai telecronisti.
«Evidentemente vogliono fare da soli».
Gelosia oppure paura del mostro sacro?
«Penso sia amor proprio e, ripeto, voglia di far da soli».
Qual è il miglior quintetto della sua Tv?
«Mike Bongiorno numero 1, insuperabile. Gerry Scotti, colonna vertebrale di Canale 5. Paolo Bonolis, genio della lingua italiana. Maria De Filippi, maestra della conduzione. Carlo Conti, presentatore a 360 gradi. Super».
Andrà a votare alle prossime elezioni americane? Repubblicano o democratico?
«Sono sempre stato un indipendente. Per ora non vedo grandi candidature».
Cosa pensa di Obama?
«Un peso piuma. Parla molto, fa poco».
Cosa farà Dan Peterson nei suoi prossimi 80 anni, oltre a sposarsi?
«Scriverò articoli per la Gazzetta dello Sport, farò telecronache, pubblicherò libri – uno sulla mentalità vincente —, terrò conferenze sul “team building”. E collaborerò con l’Olimpia Milano. Farò quello che mi piace...».