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 2016  gennaio 03 Domenica calendario

La Cina si sta armando. Il Giappone pure

Gli indicatori dell’economia di Pechino sono ancora in calo, ma si sollevano le bandiere dell’Esercito popolare di liberazione. Le prime foto di Xi Jinping pubblicate dall’agenzia Xinhua nel 2016 mostrano il presidente in giacca alla Mao nell’atto di consegnare gli stendardi rossi con stelle gialle a tre nuove unità: il Comando per la sorveglianza e il controllo dell’arsenale missilistico strategico; la Forza di sostegno strategico ai reparti combattenti che si occuperà di guerra tecnologica nello spazio e su Internet; un Comando generale per le unità di terra. Nel discorso, Xi ha citato «il sogno cinese di potenza militare» e ha aggiunto che la riforma in corso entrerà nella storia delle forze armate.
In questi primi tre anni del suo mandato (che durerà fino al 2022), il presidente si è occupato molto dell’apparato militare. Ha ricordato ai generali che «è il Partito che comanda il fucile»; ne ha purgati per corruzione alcune decine; ha orchestrato nel Mar cinese meridionale una nuova strategia di espansionismo e di confronto con gli Stati Uniti e i suoi alleati; ha ristrutturato e centralizzato la catena di comando. Poi, a settembre in Piazza Tienanmen, durante la gigantesca parata per i 70 anni della Vittoria sul Giappone, Xi ha annunciato che entro il 2017 l’organico dell’Esercito popolare sarà ridotto del 13%, da 2,3 a 2 milioni di militari. Un taglio di 300 mila unità in due anni equivale a una decimazione. La Cina sacrifica una massa di fanti e burocrati in divisa per investire di più in tecnologia bellica. In questi giorni il ministero della Difesa ha annunciato che sono in corso i lavori per la costruzione di una seconda portaerei con tecnologia e concezione cinese. E ha confermato lo sviluppo di un nuovo missile a lungo raggio: il DF-41, i cui test erano stati osservati dall’intelligence Usa. Tra il 2004 e il 2014, secondo calcoli dell’istituto svedese Sipri, la spesa militare cinese annua è cresciuta da 71 a 191 miliardi di dollari in termini reali. Questi bilanci servono le ambizioni di controllo dei mari a Sud e a Est della Cina. A Sud gli strateghi cinesi stanno costruendo isole artificiali per controllare l’arcipelago delle Spratly (ieri il Vietnam ha protestato perché nell’avamposto di Fiery Cross Pechino ha condotto il primo test di atterraggio di un suo jet); a Est contendono ai giapponesi le isole Diaoyu/Senkaku.
Intanto l’economia cinese rallenta. A dicembre l’indice Pmi (Purchasing managers’ index) dell’attività manifatturiera si è fermato a 49,7: un valore sotto 50 significa contrazione; gli analisti di Nomura prevedono che il Pil cinese nel quarto trimestre sia salito solo del 6,4%, in calo rispetto al 6,9 del terzo trimestre e al livello più basso da 25 anni.
E a fronte di questi dati, per limitare il malcontento e le pericolose resistenze al piano di tagli all’organico dell’esercito, il governo vuole che le aziende statali riservino il 5% dei posti di lavoro ai militari che saranno smobilitati. L’industria di Stato però è già in sofferenza, colpita da eccesso di capacità produttiva, sembra difficile che possa trasformarsi in cassa integrazione per 300 mila ex soldati.
C’è anche un altro rischio: che sia proprio il rallentamento economico a suggerire alla leadership di dedicarsi al «sogno cinese di potenza militare moderna». Per oltre trent’anni il partito comunista aveva abituato i cinesi a una crescita vertiginosa del Pil (e del tenore di vita) e ora che fatalmente la macchina frena, potrebbe essere tentato da un’iniezione di nazionalismo e militarismo.
«A lungo la Cina non aveva avuto interessi sul teatro internazionale, Marina, Aeronautica e forze strategiche erano subordinate all’esercito di terra che serviva a controllare il territorio interno», ha detto alla France Presse Ni Lexiong, docente di scienze politiche all’Università di Shanghai. «Ora, per contrastare gli americani e i loro alleati, bisogna modernizzare l’apparato e la potenza di combattimento», ha spiegato il professore.
Contemporaneamente, il Giappone ha appena varato un bilancio record per la difesa: 42 miliardi di dollari di spesa, +1,5% sul 2015 per navi, caccia ed elicotteri. Sentiremo parlare molto di armi ed eserciti nel 2016 nella regione Asia-Pacifico.