Corriere della Sera, 3 gennaio 2016
Sta prendendo piede il baratto fiscale
ROMA Non hai i soldi per pagare le tasse locali? Le paghi prestando un servizio al comune, per esempio spazzando le strade della tua zona. Era questa l’idea alla base del «baratto amministrativo». Nato in sordina (la prima norma risale al 2011, governo Berlusconi, ma è stato l’esecutivo Renzi a rilanciarlo con il decreto Sblocca Italia del 2014) il baratto è ormai stato scelto in più di cento comuni che lo hanno già deliberato (Milano è tra questi) o sono orientati in tal senso. Lo ha detto di recente il sindaco di Ascoli Piceno e delegato dell’Anci (associazione dei comuni) alla finanza locale, Guido Castelli, aggiungendo che l’iniziativa è importante perché può «alleviare le difficoltà» di molti cittadini colpiti dalla crisi. Che singolarmente o organizzati in associazioni potranno pagare in tutto o in parte i tributi locali non in euro ma in servizi resi all’amministrazione per un periodo di tempo determinato.
Si va dalla pulizia delle strade alla manutenzione e abbellimento di aree verdi, piazze e vie. Dagli interventi di decoro urbano, recupero di aree e immobili inutilizzati a una più generale «valorizzazione» di zone del territorio, dice la legge. In cambio, il comune dispone a favore di questi cittadini l’esenzione o lo sconto su determinati tributi: Imu, Tasi, Tari, Consap, Tosap, eccetera. Il baratto amministrativo, spiega l’Anci che è intervenuta con due circolari di chiarimento, può essere utilizzato anche per saldare in tutto o in parte debiti pregressi del contribuente, tasse locali ma anche multe, per esempio, con particolare riguardo a cittadini in stato di disagio.
A praticare lo scambio tasse-servizi hanno iniziato, l’anno scorso, alcuni piccoli comuni in Toscana (Massarosa il primo), Piemonte e Lombardia. Ma rapidamente il fenomeno si è esteso anche al Sud e ad alcune città (Genova, Bari, Olbia, Roma e, appunto, Milano) che, con diverse modalità, hanno già deliberato o pensano di farlo. Ovviamente non mancano i contrari. Del resto, sono molte le obiezioni che si possono fare. Alcune di natura tecnica: come si fa a stabilire l’equivalenza tra una prestazione lavorativa e una tassa da versare? Chi controlla che la prestazione sia stata svolta e con la cura necessaria, per evitare abusi (prestazioni fittizie o superflue per non pagare il tributo)? Altre più politiche: non c’è il rischio che il baratto anziché essere una scelta del cittadino su un piano di parità con l’amministrazione sia l’unica possibilità, per gli indigenti, di sottrarsi alle sanzioni in un rapporto quindi di sudditanza con le istituzioni?
Ma alla fine chi meglio degli stessi cittadini può verificare se la cosa funziona?