Corriere della Sera, 3 gennaio 2016
Anche Ali, il nipote di Nimr, rischia la decapitazione
Arrestato il 14 febbraio 2012 ancora diciassettenne con l’accusa di militare tra i giovani della «Primavera Araba» in Arabia Saudita, oggi rischia di essere decapitato e crocifisso. È uno dei tanti figli delle nuove generazioni del Medio Oriente affascinati dalla prospettiva di un futuro democratico contro le dittature teocratiche e nepotistiche che dominano nella regione.
Prima imputato di «diffondere la democrazia» con il suo BlackBerry, in seguito di un colpa molto più grave: «Era violento e armato». Forse non pensava, non si rendeva conto Ali al Nimr di essere tanto in pericolo. Il peso della repressione saudita gli è caduto addosso quando già era in cella. E allora ha capito: è un giovane sciita, figlio di un credo considerato «eretico» da questa che si concepisce come la monarchia-guida del purismo sunnita, il Paese custode di Mecca e Medina, il diretto erede del Profeta. Ma soprattutto è nipote di Nimr al Nimr, lo sceicco attivista tra le comunità sciite nelle province orientali a sua volta arrestato nel 2012 e la cui condanna a morte è stata eseguita nelle ultime ore. Così adesso Ali potrebbe a sua volta venire «giustiziato». La prassi è quella del purismo wahabita per i casi come il suo: prima decapitato, poi crocefisso. La condanna a morte del resto è già stata emessa il 27 maggio 2014. Non importa che il processo sia giudicato «illegale» dai funzionari Onu che l’hanno seguito. Lui stesso ha dichiarato di essere stato picchiato e torturato. Il padre dice di averlo visto in ospedale alcuni giorni dopo l’arresto con diverse ossa rotte. Ogni confessione pare gli sia stata estorta con la violenza e le minacce.
Il regime di Riad si erge a paladino della difesa dei diritti sunniti nella regione, a partire da quelli in Siria e Iraq, ma in realtà i suoi sistemi non sembrano molto diversi da quelli utilizzati dalla dittatura di Bashar Assad e dalla polizia segreta di Bagdad. L’intimidazione è diretta soprattutto ai giovani. L’avvocato di Ali non ha potuto interrogare i testimoni presentati dall’accusa. Il processo si è svolto in modo frettoloso. E ciò nonostante le proteste di vari organismi e leader stranieri, tra cui Amnesty International e il presidente francese François Hollande. Ora il suo destino è nelle decisioni di re Salman, l’unica autorità in grado di dare la luce verde all’esecuzione, oppure concedere la grazia.
Una sorte simile aspetta altri prigionieri, molti sciiti, chiusi nelle carceri saudite. Nonostante le smentite o i no comment di Riad, è generalmente stimato che siano circa 30 mila i detenuti politici del Paese. E il timore è che adesso, con il deteriorarsi delle tensioni con l’Iran e il mondo sunnita, a farne le spese siano proprio i prigionieri sciiti.