Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Le lotte di potere all’interno della casa regnante Saud

WASHINGTON Un segno di forza che nasconde molte debolezze. L’esecuzione dei 47 prigionieri con l’inevitabile rilancio dello scontro con l’Iran ha diverse motivazioni. Alcune «chiare», altre meno, perché non tutto è sempre decifrabile nel regno saudita, instabile e incerto come non mai.
Il primo aspetto è quello del monarca, Salman al Saud, 79 anni. Come i suoi predecessori ha problemi di salute che diventano ancora più seri quando attorno al trono sono in molti a sgomitare pensando che il re sia debole o possa essere piegato a certi piani. Molti speravano che, alla fine, il sovrano avrebbe commutato la pena capitale. Invece ha passato l’ordine al boia disegnando un quadro imprevedibile. C’è chi vede in questa mossa una pressione di quegli ambienti decisi ad una fuga in avanti, pronti all’interventismo, all’uso dei muscoli. Tesi ribaltata da quanti dicono: no, Salman ha voluto dimostrare che è lui a tenere lo scettro, a dispetto di mormorii e voci sul suo conto.
Certo è che la casa reale è tutt’altro che coesa. Mesi fa c’è stato il primo scossone, con la sostituzione del principe ereditario.
Muqrin è stato giubilato in aprile, il titolo è passato a Nayef, 56 anni, il potente ministro dell’Interno, personaggio noto per essere sopravvissuto ad un attentato dei qaedisti. In realtà l’alto dirigente è insidiato politicamente dal rampante Mohamed bin Salman, 30 anni, figlio del re, responsabile della Difesa e gestore di delicati settori economici. È il secondo nella linea di successione ma si comporta come fosse il primo, anzi forse qualcosa di più. Le tensioni e le rivalità sono emerse, anche se Riad ha cercato di celarle. E insieme a queste sono circolate informazioni velenose, voci di complotto, persino di tentativi di golpe. Spifferi resi ancora più seri dal quadro regionale e internazionale.
Non c’è dubbio che l’Arabia Saudita sia uscita dalla tradizionale cautela. La prova più evidente è la campagna alla testa di un’alleanza sunnita contro i ribelli sciiti Houti nello Yemen. Crisi endemica che è diventata parte del conflitto più ampio con gli ayatollah. Le operazioni sono partite con grande rullo di tamburi, ma hanno poi dovuto fare i conti con la tenace resistenza del nemico, capace di infliggere perdite pesanti.
Un intervento che ha messo in mostra le grandi lacune di un apparato militare costato miliardi però poco efficace, costretto ad affidarsi anche ai mercenari, dai colombiani a quelli somali.
La guerra agli sciiti si è sommata alla battaglia sempre aperta con Al Qaeda nella Penisola arabica, un pericolo sempre presente e raddoppiato dall’arrivo delle cellule Isis. Così i principi, ben noti per i loro rapporti decennali con le fazioni salafite più estreme del Medio Oriente, sono stati ripagati con la stessa moneta. E oggi se da un lato il regno sponsorizza alcuni movimenti dichiaratamente qaedisti – come i siriani di Al Nusra – dall’altra deve vedersela con i «suoi» militanti. Preparati, addestrati, con estese ramificazioni. Una minaccia seria: tanto è vero che tra i 47 giustiziati ci sono un ideologo e altri elementi jihadisti.
Un quadro di pericoli plurimi esasperato dalla situazione economica non più florida a causa del crollo del prezzo del greggio. C’è un deficit record, il costo delle bollette aumenterà per tutti, si parla di tasse, tagli. Cose impensabili fino a qualche anno fa, scenari che spaventano un regime che non hai mai dovuto misurarsi con questi problemi. Non solo, i sauditi hanno visto persino il loro alleato più importante, gli Stati Uniti, fare un accordo con il rivale Iran. Qualcosa che non hanno ancora digerito.
Da qui la paura e la voglia di tracciare una linea rossa con il sangue. È un messaggio lanciato ai nemici interni ed esterni. Un colpo di scimitarra che però non può recidere il groviglio di guai. Anzi, l’opposto. Perché si è aperta una fase dove l’Arabia Saudita sarà forse costretta ad altre iniziative, ma senza avere la solidità del periodo d’oro.