Corriere della Sera, 3 gennaio 2016
Storia dell’odio secolare tra sunniti e sciiti
La divisione tra sunniti e sciiti risale alla morte del profeta Maometto nel 632 d.C. Per il «partito di Alì», in arabo shi‘at ‘Ali, da cui deriva il nome «sciiti», il legittimo successore di Maometto doveva essere ‘Ali, suo genero. E dopo di lui dovevano regnare i suoi discendenti con il titolo di imam. Ma la questione della successione non fu solo politica: per gli sciiti gli imam erano e sono una guida anche religiosa.
Per i sunniti, invece, i primi sovrani, chiamati «califfi», furono scelti tra i compagni di Maometto, senza alcun ruolo religioso ma solo con il dovere di garantire l’ideale unità della comunità.
Nel corso dei secoli il sunnismo è stato la via seguita dalla stragrande maggioranza dei musulmani, mentre lo sciismo si è a sua volta frantumato in svariate sette circoscritte ad alcune regioni.
I motivi di tali divisioni hanno sempre avuto origine intorno all’autorità religiosa, più o meno accentuata, attribuita agli imam. Gli alauiti di Siria o i Drusi, oppure gli ismailiti guidati dall’Agha Khan ne sono gli esempi più estremi e noti. Oppure, all’opposto, vi sono correnti come quella degli zayditi dello Yemen, moderati, assai vicini ai sunniti. Quasi il novanta per cento degli sciiti segue lo sciismo imamita. Tale corrente unisce la maggioranza della popolazione irachena, ha una sua roccaforte storica nel Libano di Hezbollah ed è soprattutto religione ufficiale in Iran dal XVI secolo.
La Rivoluzione iraniana del 1979 ha rappresentato il momento più alto di una comunità religiosa che ha invece spesso conosciuto marginalità, persecuzioni o dissimulazioni per sopravvivere. La storia degli sciiti è infatti costellata da sofferenze ben rappresentate dalla morte dell’imam Hussein, il figlio di ‘Alì, fatto trucidare dal califfo omayyade sunnita nel 680 d.C. a Kerbela, nell’odierno Iraq.
I sunniti hanno sempre guardato con sospetto ai sostenitori di concezioni sciite. Oggi le posizioni più marcatamente anti-sciite sono sostenute dall’Arabia Saudita. Il wahhabismo è segnato da un odio feroce contro gli sciiti, trattati alla stregua di miscredenti e avversati nel loro credo e nelle forme di culto verso i venerati imam. La Rivoluzione iraniana che ha consegnato il Paese al di là del Golfo Persico al clero sciita ha acuito tensioni e rivalità.
La minoranza sciita che vive ancor oggi in Arabia Saudita soffre tali difficoltà e una rivalità crescente. Si tratta di una presenza antica, come la presenza sciita in Bahrein, ma marginalizzata dalla realtà politica saudita, in altalenanti fasi di riavvicinamento e confronti sanguinosi. I moti di protesta nel clima delle cosiddette primavere arabe dopo il 2011 hanno ulteriormente acuito incomprensioni irrigidendo le autorità saudite.
Allo stesso tempo, la crescita dell’influenza di correnti salafite sempre più avverse allo sciismo presso la corte saudita spinge per colpire la minoranza sciita con divieti e azioni coercitive.
In tali condizioni e con le crisi regionali in atto, le possibilità di dialogo sembrano sempre più difficili. E le esecuzioni di ieri accrescono gli storici e insanabili contrasti rischiando di infiammare ancor di più tutta la regione.