La Stampa, 3 gennaio 2016
Arabia Saudita contro Iran, parla David Pollock. «La guerra in Siria durerà ancora molti anni»
David Pollock è esperto di Medio Oriente del «Washington Institute» e già consigliere del dipartimento di Stato ai tempi dell’amministrazione di George W. Bush.
Per lei l’esecuzione dello sceicco Nimr al Nimr è un altro atto della guerra per procura tra Arabia Saudita e Iran?
«Sì, ma non è tutto. Gran parte delle 47 persone uccise sono sunniti, alcuni legati ad Al Qaeda, e questo per mostrare una sorta di neutralità e di maggiore credibilità. L’esecuzione di Al Nimr è però destinata a scatenare reazioni dure, in Iran, Iraq, Yemen, Bahrein, nelle province orientali dell’Arabia Saudita, anche perché non è solo un leader politico ma religioso».
Un leader religioso giustiziato come un terrorista?
«Era una figura scomoda per Riad, ma non certo un terrorista per cui era necessaria la pena di morte. La sua condanna rientra negli sforzi dei sauditi di dimostrare al resto del mondo arabo, all’Iran e al Pianeta che loro possono fare quello che vogliono».
Perché proprio ora?
«Un diversivo, per minimizzare le reazioni degli alleati occidentali dei sauditi distratti dal fine settimana di feste».
È una vendetta trasversale per l’eliminazione di Zehran Allouche, il referente dei sauditi in Siria?
«C’è un legame, ma occorre fare una distinzione, la Siria è parte della guerra per procura, Al Nimr è una questione interna, una minaccia per la sicurezza nazionale che ha la priorità su tutto».
In contemporanea la coalizione a guida saudita dichiarava la fine della tregua in Yemen. Una coincidenza curiosa non trova?
«Una coincidenza cercata, per due motivi. La giovane leadership saudita è convinta di aver compiuto importanti passi in avanti in Yemen e pensa di chiudere la partita. In secondo luogo è la risposta alla decisione degli Usa di rinviare l’applicazione delle sanzioni finanziarie nei confronti dell’Iran. Riad teme il rafforzamento di Teheran, specie con l’accordo sul nucleare, e si rende conto di non poter contare sull’appoggio di Washington».
Si tratta anche di un segnale in risposta alle difficoltà economiche del Paese causate dal calo dei prezzi del greggio?
«Non lo escluderei, una risposta simbolica ovviamente, una prova muscolare. Il mini-barile fa più male all’Arabia che all’Iran, che sta incassando bonus con la fine delle sanzioni per l’accordo nucleare. Detto questo l’economia saudita è ancora molto forte».
Senza un dialogo tra sauditi e Iran la guerra in Siria non potrà finire, così si va nella direzione opposta...
«In realtà non ero ottimista al riguardo nemmeno prima, non mi sembra ci sia volontà di una soluzione. La guerra in Siria terminerà per stanchezza, tra uno, tre, cinque o dieci anni».
Quale reazione si attende dall’America?
«Un commento di circostanza, niente più. Del resto ci sono le feste. Lunedì è un altro giorno».