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 2016  gennaio 03 Domenica calendario

Un’enorme complicazione interviene nel già inestricabile quadro mediorientale: i sauditi hanno decapitato 47 uomini, e tra questi c’è Nimr al-Nimr, un religioso sciita che ha grande influenza sulle popolazioni sciite dell’area

Un’enorme complicazione interviene nel già inestricabile quadro mediorientale: i sauditi hanno decapitato 47 uomini, e tra questi c’è Nimr al-Nimr, un religioso sciita che ha grande influenza sulle popolazioni sciite dell’area. Al tempo delle primavere arabe, al-Nimr aveva incoraggiato i giovani a ribellarsi ai regimi decrepiti della penisola araba, nel 2012 i sauditi lo avevano arrestato, il 25 ottobre ne avevano confermato la condanna a morte e ieri gli hanno tagliato la testa. Gli altri erano accusati di attentati compiuti da al Qaeda tra il 2003 e il 2006. La reazione degli iraniani è durissima: «L’esecuzione di Nimr vi costerà cara». Khatami, uno dei leader persiani più in vista, ha sentenziato: «Questo sangue puro macchierà la casa dei Saud e li spazzerà dalle pagine della storia». Grida anche dagli Houthi dello Yemen, dagli sciiti del Bahrein e dagli sciiti libanesi Hezbollah, che accusano gli Stati Uniti di coprire i crimini sauditi. Mohammed al-Sayhood, deputato iracheno, ha aggiunto: «L’applicazione della condanna a morte di Nimr incendierà la regione».

Che cosa si deve incendiare in un’area che è già tutta un fuoco?
Procediamo con ordine. Alla destra del Mar Rosso c’è la penisola arabica, un grande rettangolo per il 90% occupato dall’Arabia Saudita. Alla base di questo rettangolo stanno altri due piccoli rettangoli affiancati. Quello di sinistra è lo Yemen, quello di destra è l’Oman. Poi ci sono altri quattro pezzetti, sull’altro lato, quello che fronteggia l’Iran: i sette Emirati Arabi Uniti, il Bahrein, il Qatar e, a ridosso dell’Iraq, il Kuwait. L’Arabia Saudita è impegnata in questo momento in due guerre. Prima guerra: contro l’Isis. I sauditi, con i turchi, guidano una coalizione sostenuta anche dal Qatar, dal Kuwait, dagli Emirati e dal Bahrein, cioè dagli altri stati della penisola. Si tratta di una coalizione particolarmente importante perché formata da sunniti che si sono decisi a combattere altri sunniti, quelli del Califfo. Sono naturalmente nemici dichiarati di Assad e quindi di Putin, che pure, contro l’Isis, risultano loro alleati. Ma questa è una complicazione nota. Poi c’è una seconda guerra saudita, quella contro lo Yemen: qui, nel marzo scorso, ribelli sciiti, detti Houthi, hanno rovesciato il regime sunnita, insediandosi a Sana’a e spaccando in due il Paese. Gli Houthi sono finanziati da Teheran. I sauditi li bombardano. Questo cioè è un momento della guerra generale tra sunniti e sciiti.  

Da chi comprano le armi i sauditi?
Bravo. Le comprano dagli americani, il che è un altro degli elementi di confusione generale, perché mentre acquistano le bombe dal Pentagono i sauditi fanno anche la guerra agli Stati Uniti sul petrolio, mantenendo alta la produzione e quindi basso il prezzo del greggio sui mercati mondiali. In questo modo, il sistema del fracking con cui in America hanno imparato a produrre petrolio, è perennemente in perdita. E vengono anche colpiti i due nemici-nemici, Mosca e Teheran, inutilmente al loro fianco nella guerra al Califfo.  

Che c’entra tutto questo con la decapitazione di Nimr e degli altri 46 disgraziati?
Il re dell’Arabia Saudita è Salman, salito al trono lo scorso gennaio, e che ha compiuto 80 anni il 31 dicembre. Ci sono due eredi al trono: Mohamed Bin Nayef, primo erede e nipote del re, 56 anni, ministro dell’Interno. E il figlio più giovane del sovrano, Mohamed Bin Salman, 30 anni, ministro della Difesa e responsabile delle politiche giovanili, dicastero fondamentale in un paese in cui due cittadini su tre hanno meno di 30 anni. È stato il giovane Bin Salman a mettere in pista la coalizione anti-Isis e a volare a Washington e a Mosca per trattare con i potenti del mondo. La decapitazione di uno sciita influente, e il conseguente peggioramento dei rapporti con gli ayatollah, potrebbero essere la risposta di Nayef alle aperture pseudomoderniste di Bin Salman. In altri termini, tutto fa pensare che a Riyadh, la capitale, sia in corso una lotta per il potere interna alla famiglia Saud.  

Cioè, nella penisola, potrebbe scoppiare una terza guerra, quella tra le fazioni sunnite della casa reale?
È l’allarme che circola nelle cancellerie occidentali. D’altra parte è innegabile che la politica di tener basso il prezzo del petrolio e di far la guerra in Yemen, due atti che hanno ridotto del 17% la ricchezza del Paese, ha creato una situazione di profondo malcontento. Non c’è mai stata una primavera saudita, ma quello che il mondo teme è proprio la nascita, adesso, di un’altra area destabilizzata, dopo la Libia e lo Yemen. Le aree destabilizzate sono il terreno ideale per le infiltrazioni jihadiste.  

In tutto questo, passa sotto silenzio che vi sia un posto in cui si giustiziano 47 esseri umani in un solo giorno.
Amnesty International ha subito diffuso i dati degli orrori sauditi: dal 1985 al 2005 sono state messe a morte in Arabia oltre 2200 persone. Da gennaio ad agosto 2015, le esecuzioni sono state più di 150. Tutte decapitazioni. Con Cina e Iran, l’Arabia Saudita è il paese dove si uccide di più.