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 2016  gennaio 02 Sabato calendario

L’ode al Pascoli fanciullino di Arbasino

 Difficile imbattersi in un poeta più ambiguo. Si potrebbe trasecolare, per le sorprese di qualche rilettura in base a una sensibilità più adulta. Connotati apparentemente sempliciotti che rivelano macchinosità spropositate: quali spericolati sperimentalismi fonici, e quanta ideologia da coltivatore diretto, dietro ogni pigolio rurale… Invece, quanti aspetti già ritenuti profondi mostrano una banalità da prontuario freudiano.
La sua scheda segnaletica pare sbrigativa. Dopo un’infanzia funestata dal celeberrimo delitto della Cavallina Storna, gli si congelano addosso le qualifiche anagrafiche e psicopatologiche dell’Orfanello e del Fanciullino. E gli rimangono appiccicate come in certe vecchie drogherie o cartolerie, dove – sopra la cassa, tra due garofani secchi e una polverosa lampadina perpetua – alligna grifagna e sbiadita la fotografia su porcellana della mamma dell’anziano padrone, deceduta mezzo secolo fa.
In seguito, per decenni, grande erudizione classica, molto vino meridionale, celibato perentorio, e il notissimo attaccamento per le sorelle. Con strazianti giuramenti reciproci, e cupi giochi bambineschi protratti perfino durante le cirrosi epatiche. Pascoli inaugura così, con la pittura di Giorgio Morandi e la letteratura di Marino Moretti, un caratteristico filone emiliano e romagnolo di alto e caparbio lirismo vieux garçon.
Professore e decadente, nell’Italia bizantina e simbolistica di Umberto I, l’autore di Myricae si sente in trappola fra due cospicui mostri sacri, Carducci e d’Annunzio. Tenta perciò di diventare un po’ mostro e un po’ sacro, anche lui. Con molti nidi, rane, fonti, orti, autunni, foglie, cancelli, temporali, continui bucati, frequenti mietiture, parecchie tessitrici e capinere e civette e rondini, numerosi morticini, piccini sfruttati e patetici, la mamma, la sorella Mariù… Giammai sesso! Né guerre!
Ma il Fanciullino funziona come calamita irresistibile verso il Poderetto. E in questo Rotary Club patriottico, i soggetti sono poi gli stesi della pittura storica e simbolica delle Aule Magne, dei teatri dell’Opera, degli anfiteatri anatomici. Col medesimo Immaginario italianistico. «Il Male! bramito di belva!». In morte di Umberto I: «Avea lottato, il Pùgile, con Dio!». E «lo stallone e la sua gioventù» per Garibaldi a Caprera. E per il Duca degli Abruzzi: «Ferro di spade e sangue di plebe» (rimante con «glebe»). Ma qui ritorna la fissazione del Brahma: «Fu come il Brahma a cui sporgean dai lati, mille migliaia di guizzanti braccia». «Non era ancora, o forse era il divino, efebo cinto d’ellera che apparve, novello eroe con la peliade lancia», per Napoleone a Sant’Elena. Per l’Esposizione di Torino, soprattutto l’indimenticabile «toro divino, corneggiando al vento» segnalato con amaro gaudio dal Gadda.

Crisantemi, agrifogli, Gaspare Finali, comete di Halley…. Temi conviviali, sociali, pubblici… Madie, uova sode, «cip cip! chiù chiù! scilp scilp! vitt vitt!»… Mentre il Superuomo anela a imprese titaniche, conquiste gloriose, dimore sontuose, amanti clamorose… Ghiotto di melagrane, motosiluranti, levrieri, velivoli, bombardamenti, bibelots… Macché lotte di classe, mali urbanistici, brutture dell’esistenza, regressioni pigolanti a una piccola campagna di tanti piccoli proprietari e di contadini subordinati che vivano con semplicità e si vogliano tutti bene… Però. Ciascuno nella propria casetta.
E le spinte verso l’antica Roma? Quei premiati esercizi di versificazione latina? Civetterie poetiche on dissimili dal recupero di Botticelli da parte dei Pre-Raffaelliti?... l’animula ferita, davanti a tutti quegli spiedini di pettirossi, capinere, cincie, schidionate di passeri, fringuelli, usignoli, nonché rondini e civette, e addirittura un’aquila, sempre un brutto segno…
©Alberto Arbasino