la Repubblica, 2 gennaio 2016
Anche l’Oman costretto alla spending review per il crollo del petrolio
Anche i ricchi tagliano. Ieri l’Oman ha annunciato che a causa del crollo delle quotazioni del greggio, sarà costretta a dare una grossa sforbiciata alla spesa pubblica. Prima di questo Sultanato, era toccato all’Arabia Saudita annunciare insieme alla spending review anche un’ondata di privatizzazioni, per reperire risorse fresche con cui far quadrare i conti. Ma anche il governo dell’Alaska, importante area energetica degli Stati Uniti, potrebbe essere costretta a tornare a tassare il reddito privato. Dopo 35 anni che vengono erogate forti agevolazioni a quei cittadini Usa che fossero disposti a trasferirsi al nord, ora l’Alaska potrebbe essere costretta a fare marcia indietro: quest’anno a causa del crollo del greggio verranno a mancare due terzi dei ricavi del bilancio dello stato che ammonta da 5,2 miliardi di dollari.
E ieri è toccato al l’Oman annunciare una maxi manovra all’insegna dell’austerità, per l’anno che è appena iniziato. A fronte del calo dei prezzi del petrolio, che è crollato del 65% rispetto al giugno 2014 minando le entrate erariali, l’Oman ha deciso di tagliare la spesa pubblica del 15,6%. La previsione del sultano Qabus bin Said Al Said è di investire 11,9 miliardi di riyal – vale adire 30,9 miliardi di dollari – contro i 36,6 miliardi spesi tra sgravi e opere pubbliche nel 2015. Le entrate attese per quest’anno in Oman ammontano a 22,3 miliardi di dollari, ovvero con un ulteriore calo del 26% rispetto allo scorso anno. Pertanto la spending review era inevitabile, resta che anche dopo i tagli, il deficit 2016 del sultanato è stimato a quota 8,6 miliardi di dollari, comunque in riduzione rispetto agli 11,7 miliardi registrati nel 2015. L’Arabia Saudita ha invece chiuso lo scorso anno con un deficit record da 98 miliardi di dollari, pari – secondo stime ufficiose – al 15-16% del Pil. Un livello insostenibile che ha indotto il governo a correre ai ripari: nel budget del 2016, il primo sotto il nuovo re Salman bin Abdulaziz Al Saud, è previsto una riduzione del deficit di ben 10 miliardi di dollari. Fatto sta, che la crisi dei Paesi produttori alla lunga rischia di avere serie ricadute su una serie di altri economie Ue, a dispetto del fatto che la produzione di greggio non sia una delle maggiori risorse economiche del Vecchio continente. Dopo aver schiacciato i profitti di tutte le aziende energetiche -come l’Eni-, o messo a dura prova i conti di colossi dei servizi petroliferi – come Saipem e Tenaris-, secondo gli analisti ora le ricadute potrebbero allargarsi anche ad altri settori industriali che in apparenza non sono collegati con quello energetico. Primo tra tutti quello delle costruzioni, dato che chi realizza dighe tunnel e infrastrutture in genere, dovrà fare i conti con un potenziale e importante cliente in meno. E in questo caso, le italiane Salini Impregilo e Astaldi potrebbero essere indirettamente toccate dai tagli alle spese dei Paesi produttori. Ma anche il comparto immobiliare, le auto (Ferrari) e in generale prodotti di alta gamma (Prada, Ferragamo Tod’s, solo per citarne alcuni) potrebbero avvertire le scosse di questo terremoto, dato che i Paesi del medio oriente sono grandi consumatori di beni di lusso.