la Repubblica, 2 gennaio 2016
La mezzanotte al cinema a vedere Checco Zalone. Guia Soncini ci è andata e racconta
E se Checco Zalone fosse la risposta a Jennifer Lawrence? Lei si è lamentata sulla Bbc, dando voce a chiunque abbia mai festeggiato un Capodanno, che coi veglioni è sempre la stessa storia: ci arriva piena di aspettative, e ne esce delusa e sbronza. Lui, da queste parti, ha fornito l’alternativa: passata la mezzanotte era già il primo gennaio, data d’uscita di Quo vado?, e quindi in un centinaio di cinema italiani si poteva vedere il film, invece di fingere di divertirsi facendo il trenino e stonando canzoni. Allo spettacolo di mezzanotte e venti all’Odeon di Milano, il pubblico sembrava tutto una metafora del film, in cui il personaggio Checco è uno statale che vive ancora coi genitori e che viene smosso dal proprio attaccamento al posto fisso solo dall’incontro con una ricercatrice che vive nella civilissima Norvegia, dove Checco diventerà (temporaneamente) uno che raccoglie le cartacce, rispetta le file, è ligio alle regole. Nel foyer del cinema ci sono i molto pentiti di aver dato retta ai regolamenti (chi – avendo letto che in zona non sarebbe stato possibile introdurre alcolici, requisiti dai controlli di sicurezza intorno a piazza del Duomo – non si era portato lo spumante, «e a mezzanotte abbiamo brindato con l’acqua minerale»); i trasgressori senza esitazioni (lo spumante se lo sono portato, e nessuno gliel’ha requisito); e i tentativi di corrompere il sistema (le vane richieste di alcolici al bar del cinema vedono gli sconfitti ripiegare sul panettone in vendita, prima che il barista deluda la loro ultima speranza: «Però non abbiamo il coltello per tagliarlo»). Le famiglie e i gruppi si portano molto più delle coppie: c’è il signore di mezz’età che accompagna la madre ottuagenaria, ma anche moltissimi bambini. Un cinquenne a fine proiezione ha l’aria stropicciata di chi ha dormito tutto il film, un ottenne non si sa cosa possa aver capito delle battute sulla tredicesima, tre dodicenni però ridono quando Checco vuol chiamare la figlia Ines non perché significhi “purezza” ma per “istituto nazionale enti statali”. Le coppie non sembrano contente, né i trentenni in piumino lucido che sono qui perché «lei domani deve lavorare, non potevamo far tardi», né i ventenni che non sono andati a ballare perché lui s’è fatto male, ma si affrettano a precisare che il film, magari non a mezzanotte, l’avrebbero visto comunque. Un po’ meglio le coppie adulte: una moglie motiva il loro essere lì con «piace al marito, a me sinceramente non tanto» (ma poi ride moltissimo quando la svenevole Céline Dion, già canzone di uno straziante amore tra Michelle Pfeiffer e Robert Redford, diventa colonna sonora della madre di Checco che gli stira le camicie); una signora spiega che sono tre anni che lo fanno, vanno al cinema «per fare una cosa un po’ diversa dal solito veglione», e il marito di soppiatto sospira «Mi trascina» (una signora del loro gruppo è in abito scollato di lamè e papillon al collo: giura che non preferirebbe essere a una festa danzante, però). Alla coppia che sta festeggiando il primo capodanno libero dai tre figli, che ormai adolescenti sono usciti per conto loro, e domani li lascia tre giorni dai nonni e parte, solo loro due, non gli sembra vero, a loro è impossibile aver cuore di chiedere se siano pronti ad tenersi i figli trentottenni in casa. E poi il tardivo Erasmus di Checco dà l’illusione che ci sia sempre tempo per crescere, e anche per diventare più civili: è così convincente che sui titoli di coda qualcuno torna indietro, prende i contenitori vuoti dei popcorn lasciati sul pavimento, e va a cercare un posto in cui buttarli. Quasi ci credo, poi il tassista che mi riporta a casa mi chiede se voglio che sulla ricevuta scriva il doppio dell’importo, e allora mi rendo conto che quella Norvegia civilissima da servizi di Ballarò è lontana, Zalonia è vicina, e non trovando i cestini il tizio del cinema avrà lasciato gli avanzi di popcorn sul marciapiede.