la Repubblica, 2 gennaio 2016
Dal 2008 a oggi le banche hanno bruciato 600mila posti di lavoro
È un’ecatombe mondiale: 600.000 licenziamenti. Qual è la sua causa profonda? Tanti sono i bancari che hanno perso il posto e non lo hanno più ritrovato, dalla crisi del 2008 ad oggi. Oggi le banche fanno notizia soprattutto per i danni inflitti ai risparmiatori. Ma anche sul fronte del lavoro, la finanza ha ormai un effetto distruttivo. È un settore che elimina occupazione a livello globale.
Il dato aggregato lo fornisce un’indagine dell’agenzia Bloomberg, ricapitolando le ondate di licenziamenti che si susseguono da otto-nove anni in America, sei-sette anni in Europa. E non c’è una schiarita in vista. La crisi del 2007-2008 ebbe inizio con un’immagine tragica e leggendaria: i dipendenti di Lehman Brothers che lasciavano il grattacielo di Wall Street trasportando scatoloni di cartone coi loro effetti personali, dopo la bancarotta. Ma la mannaia continua a colpire. L’ultimo annuncio viene dalla Germania: altri 26.000 licenziamenti alla Deutsche Bank. Poco prima era stata la volta dell’Unicredit con l’annunciata riduzione di 18.200 posti di cui 6.900 in Italia. Il 2015 è stato un altro anno tremendo: a livello mondiale, nei primi 9 mesi le banche hanno tagliato 52.000 posti di lavoro, poi nell’ultimo trimestre c’è stata un’impennata, altri 47.000 licenziamenti annunciati solo dal primo ottobre al 31 dicembre.
L’emorragia è pesante anche se commisurata all’occupazione totale del settore. Una delle più grandi banche americane e mondiali, Citigroup, ha perso il 36% dei suoi dipendenti dagli albori della crisi ad oggi. La Royal Bank of Scotland a furia di cure dimagranti si è sbarazzata del 53% dei suoi addetti. La svizzera Ubs ne ha cacciati il 29%. La distruzione di lavoro non accenna a fermarsi. Cambiano solo le cause. La prima ondata di licenziamenti massicci fu scatenata prevalentemente dalla spirale perversa delle perdite di bilancio: prima le banche americane affondarono per le speculazioni sui mutui subprime, titoli strutturati, credit default swap; poi quando la loro crisi di liquidità si estese all’economia reale, i fallimenti delle imprese fecero salire a dismisura i crediti incagliati, sofferenze, prestiti irrecuperabili.
Quella fase almeno negli Stati Uniti è ormai lontana (in Europa no). Ora è subentrata una seconda causa dominante, dietro i licenziamenti: la “digitalizzazione” dei servizi bancari. Si era cominciato dalle prestazioni più semplici: prelievi, bonifici e pagamenti, bollette e tasse, tut- to il mestiere del “bancario allo sportello” è diventato inutile per la clientela che usa il fai-da-te su Internet, e ora sempre più spesso le app sullo smartphone. Adesso l’avanzata impetuosa dell’intelligenza artificiale soppianta anche i mestieri più sofisticati (e meglio remunerati) come quelli dei trader e degli analisti. Molte transazioni finanziarie, ordini d’acquisto e vendita, scelte d’investimento in bond o azioni, valute estere o indici, fondi comuni o derivati, Etf e opzioni, vengono effettuate attraverso software automatici. Il poco lavoro che si crea, sono posti riservati a giovani matematici e ingegneri. Il molto lavoro che si distrugge è bancario, ora anche ai “piani alti” e nelle sale di trading. “I robot stanno conquistando Wall Street?” si chiede un reportage della Bloomberg Tv. In realtà l’agenzia Bloomberg potrebbe adattare la domanda a se stessa. Sta crescendo il numero di articoli d’informazione finanziaria che vengono redatti da computer. Bloomberg preferisce fermarsi ad una conclusione rassicurante: il suo reportage assicura che l’automazione arricchisce il risparmiatore, citando ad esempio il fatto che le transazioni in Buoni del Tesoro americani oggi costano un quinto grazie all’eliminazione di intermediari umani.
È la stessa conclusione a cui allude uno studio dell’economista italiano Angelo Baglioni, pubblicato sul sito Lavoce.info con il titolo “Perché in banca le sedie traballano”. Come l’indagine Bloomberg, anche Baglioni allude al lieto fine: «C’era una volta il bancario dal posto sicuro e ben pagato. Grazie al fatto che nel settore non esisteva la concorrenza e ogni banca aveva il suo compito. Da allora tutto è cambiato. E se per gli addetti la vita è più difficile, per la clientela ci sono stati benefici». E tuttavia, forse proprio perché scritta da un osservatore italiano, la sua analisi contiene qualche elemento di dubbio. Certo le banche di vent’anni fa godevano di rendite di posizione, erano un oligopolio che poteva succhiare risorse dai risparmiatori e dall’economia nazionale. Ma l’avvento della concorrenza, e poi la crisi, hanno generato nuove perversioni. Per esempio la riconversione del bancario a consulente finanziario, spesso impreparato, a cui i vertici affidano la missione di piazzare tra i clienti titoli ad alto rischio. Il resto è cronaca di questi giorni.