Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2016  gennaio 02 Sabato calendario

«Non sono un numero 10. Cerco la perfezione». Intervista a Paul Pogba

Paul Pogba, che cosa si porterà dietro del 2015?
«Gli ultimi mesi, perché sono stati diversi rispetto agli anni precedenti, quando eravamo sempre primi e così arrivavamo. Ora è diverso».
La finale di Champions no?
«Anche quella, e un giorno voglio vincerla. L’abbiamo persa, ma, come si dice, dalle sconfitte e dagli errori s’impara».
Che Juve è senza Pirlo, Vidal e Tevez?
«Diversa. C’è più responsabilità su altri uomini e poi dobbiamo pensare a giocare ancora più insieme».
Ha più responsabilità anche lei?
«Automaticamente, sì. Prima avevo di fianco Pirlo e uno degli avversari era sempre su di lui. Ora lo mettono su di me: è un po’ diverso».
Si sente un numero 10 ora?
«Che cosa vuol dire? Non sono un dieci, come posizione sul campo. Mi sento un centrocampista ed è un onore portare il numero di quelli che vincono il Pallone d’oro. Nella storia della Juve è una maglia pesante e io voglio onorarla».
Platini, Baggio, Del Piero, Tevez, stessa targa sulla schiena: ci pensa mai?
«Quando guardo la mia maglia non vedo né il numero né il mio nome, vedo solo la Juve: con la voglia di dare il cento per cento. E vincere».
Più oneri o più onori?
«È un onore, forse per gli altri sarà pesante. Per me è lo stesso, sono sul campo con la gioia di giocare: 10 o 27 è uguale».
Per questo scrisse +5 a pennarello dietro la maglia?
«Per fare il mio vecchio 6? Può essere, dipende da come la gente lo leggeva. A volte faccio delle cose così, come con i capelli: mi va e lo faccio».
Quante volte li cambia?
«Tutte le settimane».
La scambiano ancora per Mario Balotelli?
«No, solo i primi mesi a Torino: dopo il primo gol al Napoli diventai Pogba. Ora la mia vita è cambiata, non posso andare in giro e camminare tranquillo: sono alto, e con questi capelli ti vedono subito. Ma l’affetto dei tifosi è bellissimo».
Si rivede giocare?
«All’inizio guardavo tutte le partita, ora abbiamo una app sul telefono e rivedo solo le mie giocate».
Si arrabbia mai?
«Sempre. Sono un perfezionista, mio papà mi ha insegnato così. E anche Evra mi dice sempre: ehi, non essere così cattivo con te stesso. Invece sono fatto così e ogni volta mi dico: “Ma non posso sbagliare queste cose”. Se non sei così, non raggiungerai mai la perfezione».
Ogni volta che la fotografano a cena, a Montecarlo o a Manchester, si pensa al suo futuro: le scoccia?
«Se mi vedessero in Cina, qualcuno direbbe che vado a giocare là».
Come la foto con Messi?
«Appunto. Comunque non ho ancora Instagram. Solo Twitter».
Platini disse che non è una vera star perché segna troppo poco: deluso?
«Ha detto così? Non lo sapevo. Comunque il mio obiettivo è di aiutare la squadra: se poi segno, meglio».
È vero che Raiola, il suo agente, le disse di non ascoltare la tv?
«Veramente già la guardo poco. Giusto le partite, non bado a quello che dicono di me».
Che cosa le piace?
«La Premier, la Liga. Osservo sempre quelli che giocano nel mio ruolo: Yaya Touré, Iniesta, Arturo (Vidal), per vedere dove posso ancora migliorare. Ma anche gli attaccanti, e mi chiedo: “Ma come fanno a fare così tanti gol?” Cerco di prendere qualcosa anche da loro, per migliorare».
La Juve è migliore di quella della stagione scorsa?
«Non si può dire, che vinca o no: possiamo dire che le altre squadre si sono rinforzate».
Chi le fa paura per lo scudetto?
«Nessuno».
Dybala l’ha sorpresa?
«No, l’ho sempre detto: è il mio fenomeno».
Perché?
«Giocare nella Juve e fare queste cose in campo, è una cosa fenomenale».
Che cosa ammira?
«La sua tecnica. E poi a me piacciono da matti i mancini: per questo ho cercato di imparare a tirare con il sinistro».
Gli ha detto qualcosa all’inizio?
«Solo di fare il suo gioco e non pensare di essere giovane, perché sul campo siamo tutti uguali. Così gli ho detto: “Tu sei forte, vai e dacci una mano”».
Sarà uno da Pallone d’Oro?
«Può arrivarci. Sa come lo chiamo? Quadrato R2, i tasti che devi premere alla Playstation per fare il tiro a giro: fa sempre gol così».
Chi sceglie alla Play?
«Juve, Barça, Madrid, il City. Gioco anche con me stesso e a volte mi arrabbio, perché il Pogba del videogame gioca meglio di me: “Com’è possibile?” (sorride, ndr)».
Kondogbia va così così: se l’aspettava?
«L’ho visto, e all’inizio giocava, poi non so se c’è qualcosa con l’allenatore. Ma è molto bravo: non è facile venire in Italia e andare benissimo subito, con tutta la tattica che c’è. Ci vuole un periodo di adattamento».
Nello spogliatoio preferisce parlare o ascoltare?
«Ascolto i vecchi e poi parlo. Ma soprattutto voglio vincere. Mi incavolo, ma preferisco non parlare quando sono arrabbiato: non è il momento migliore».
Discute mai di Juve con Deschamps?
«Oh sì. La Juve è il suo club, quanto gli piace. Vede sempre le nostre partite».
L’ha trovata migliorato?
(sorriso) «Deschamps al massimo ti dice: bravo. È il massimo del complimento».
Un consiglio che le ha dato?
«Paul, gioca semplice».
La Francia può vincere gli Europei?
«Con la squadra che abbiamo possiamo andare molto lontano: non dico che vinciamo sicuro, ma possiamo farlo. Anche l’Italia può andare lontano».
Ha cambiato modo di giocare?
«Non penso, visto che ci sono sempre le stesse critiche».
Che fa troppi numeri?
«A volte devo trovare il momento giusto per le cose e quello per fare il passaggio: devo imparare, per questo guardo Iniesta».
Che cosa chiede al 2016?
«Di fare meglio del 2015».
Significa battere il Bayern, agli ottavi di Champions.
«C’è una cosa brutta: che poteva capitarci una squadra più debole. E un’altra bella: che tutti si aspettano che perdiamo, come nella semifinale col Real dell’anno scorso».
Che cosa ha pensato al sorteggio?
«Me lo sentivo che avremmo preso il Bayern: l’avevo detto a Coman».
Come lo salutò?
«Gli dissi di essere felice. Ero contento per lui, perché andava a giocare, che era quello di cui aveva bisogno».
Più facile giocare nel Bayern che nella Juve: non le pare strano?
«La gente deve sapere che nella Juve non è facile. C’è una cultura del lavoro diversa rispetto all’estero. Io sono stato al Manchester: sembrava di essere in vacanza. Qui si lavora tanto, perché tutti gli scudetti non è che li abbiamo rubati: è il lavoro, fino alla fine. E poi c’era Tevez, c’è Morata: per un attaccante non era facile giocare».
Ritrova anche Vidal: più dura per lui o per lei?
«Più difficile giocare contro Arturo».
Peggio di sfidare Pogba?
«Io non sono nessuno, e non ho ancora fatto niente».