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 2016  gennaio 02 Sabato calendario

Bernardeschi, il numero 10 che arriva dal futuro

Quando ha scelto la maglia numero 10, che alla Fiorentina prima di lui hanno indossato Montuori e De Sisti, Antognoni e Baggio, Rui Costa e Mutu, Federico Bernardeschi non ha pensato a nessuno dei grandi campioni che lo hanno preceduto. «So che qui la 10 è un simbolo, un’icona e non volevo mancare di rispetto a nessuno. Doveva essere uno stimolo dopo la frattura al malleolo che mi ha fatto perdere quasi tutta la scorsa stagione». Sono sufficienti poche parole per capire di che pasta è fatto il giovane più apprezzato dagli allenatori. Berna, dietro il ciuffo sbarazzino dei vent’anni, nasconde una volontà di ferro che non lo ha mai abbandonato. Altro che bamboccione. 22 anni il 16 febbraio, carrarese come Buffon, una fidanzata, il cane Birillo e una casa nel centro di Firenze, Bernardeschi sa perfettamente chi è e dove vuole arrivare.
La sua storia è quasi tutta Fiorentina. Se lo ricorda il primo giorno, 12 anni fa?
«Sono arrivato con i miei genitori sotto lo stadio, dietro la curva Fiesole, per prendere borsa e tuta. Un ragazzo come tanti, emozionato e pieno di speranze. Ma già allora sostenuto da una grande convinzione: volevo farcela».
E ce l’ha fatta...
«Piano con gli elogi, sono appena arrivato in serie A e la strada è ancora lunghissima».
Non sembra preoccupato però.
«Non lo sono. Ho fiducia, costanza, passione, volontà».
Un consiglio ai milioni di ragazzini che cominciano a tirare calci a un pallone?
«Dico a loro quello che Sousa dice a me: lavorare, lavorare e ancora lavorare. Duro, sempre».
È per questo che gli allenatori stravedono per lei? Prandelli l’ha convocata in Nazionale per uno stage quando ancora giocava in B a Crotone, Ancelotti ha dichiarato che la vorrebbe con sé, Lippi l’ha definita il giovane più interessante della serie A.
«Ringrazio. Per me è motivo di orgoglio che personaggi di questo spessore mi tengano in così grande considerazione. Segno che sono sulla strada giusta».
Tanti maghi della panchina la coccolano, ma è stato Massimo Drago a Crotone che le ha cambiato la vita.
«Con lui c’è stato feeling dal primo giorno, mi ha aiutato a superare lo scoglio che c’è tra il calcio giovanile e quello professionistico in B».
Anche le grandi squadre stravedono per lei. Prima che firmasse il rinnovo con la Fiorentina si parlava della Juve, ora Bayern Monaco e Barcellona. Non la turba questa popolarità?
«Non sono turbato e i complimenti non rischiano di farmi sbandare: so quante trappole ci sono. Penso solo a fare bene a Firenze».
E i momenti brutti? Ha mai pensato di mollare?
«Mai, neppure un istante. E non perché periodi neri non ce ne siano stati, ma sono riuscito a trasformarli in occasioni di crescita. L’infortunio della scorsa stagione, per esempio».
Un colpo duro.
«Pensavo potesse essere il mio anno e invece l’ho buttato via. Ma sono ripartito con più forza. Anche per questo ho preso la maglia numero 10. Non un gesto di presunzione, ma una sfida a me stesso. E poi quel numero ce l’ho sempre avuto nelle giovanili».
Prima partita due gol contro il Barcellona, davvero niente male. Però in campionato è ancora a secco…
«Magari non devo aspettare tantissimo…».
La Fiorentina seconda è una sorpresa quasi per tutti, ma lo è anche per voi giocatori?
«Solo in parte perché conosciamo le nostre potenzialità e sappiamo il lavoro che stiamo facendo con Sousa».
Cosa manca per lo scudetto?
«Potrebbe anche non mancare niente. Quest’anno il campionato è molto più equilibrato e non c’è una vera favorita. Certo Inter e Juve, squadre abituate a vincere, hanno qualcosa in più. La storia nel calcio conta parecchio. Però non è mai detto».
Lo sa che il difficile viene adesso?
«Ne siamo convinti e per questo, dopo la sosta, siamo ripartiti con più determinazione di prima. Il girone di ritorno sarà più complicato e non solo perché tutti ci aspetteranno. Ma siamo un gruppo solido e di talento. E soprattutto con la testa giusta. Non abbiamo paura di nessuno e ragioniamo partita dopo partita».
Scontato che Kalinic sia la rivelazione...
«Tutti aspettavano un buon giocatore e invece è arrivato un campione».
E Sousa?
«Farà tanta strada. Ti capisce e riesce a farsi capire: uno psicologo, oltre che un grande tecnico. E in campo vive la partita con noi dall’inizio alla fine. La sua carica è un grande aiuto».
L’Europeo in Francia che cos’è?
«Una speranza da vivere con serenità senza ansia né stress».
Il 2016 sarà il suo anno?
«Lo spero, mio e della Fiorentina. Anzi il contrario: perché la squadra viene prima».
E quando alcuni tifosi l’hanno presa a male parole perché non firmava il rinnovo e forse pensavano che sarebbe andato alla Juventus?
«Tutto aiuta a fortificare il carattere. Sono rimasto tranquillo perché ho sempre pensato che bisogna rispondere con i fatti».
Si potrebbe fare di più per aiutare i giovani?
«Molto di più. Servirebbero più fiducia e pazienza».
Però è nata una bella generazione…
«Berardi, Cataldi, Benassi, Rugani tanto per citarne qualcuno. Il futuro è verde e non è così brutto come a volte si divertono a dipingere».
Ma lei si sente un privilegiato? Molti giovani, alla sua età, sono senza lavoro.
«Lo sono, inutile nasconderlo. Ma non è stato facile perché a 9 anni facevo avanti e indietro da Carrara, a 15 mi sono trasferito a Firenze senza certezze. La mia famiglia mi ha aiutato: babbo Alberto, mamma Paola e mia sorella Gaia, che si è laureata ed è assistente sociale. È lei la vera stella della famiglia».