Corriere della Sera, 2 gennaio 2016
A Tel Aviv un arabo israeliano spara a raffica davanti a un pub e uccide due persone
Andare a Dizengoff. Per gli abitanti di Tel Aviv è qualcosa di più che passeggiare per negozi: vuol dire vedersi, parlare, divertirsi, vivere. Il terrorista solitario sceglie di colpire proprio lì: sulla strada più abbagliante della città bianca, alle tre del pomeriggio, fra un negozio d’alimentari che vende le ultime delicatezze per i pranzi di shabat, davanti al pub Hasimta che sta celebrando un allegro compleanno, numero civico 130.
Loro sparano musica, lui due raffiche. Una trentina di colpi con un’arma automatica e insolita, forse italiana, forse ceca, di certo sufficiente ad ammazzare due persone, il proprietario ventiseienne del bar e un trentenne, e ferirne altre sette, due gravi. Non grida che Allah è grande, non si fa preannunciare da video, né celebrare da rivendicazioni postume. E il martirio l’evita proprio: si dà alla fuga, molla il fucile e uno zainetto con dentro un Corano, scatena la più grande caccia all’uomo che Tel Aviv abbia vissuto negli ultimi anni, centinaia di poliziotti ed elicotteri a bloccare mezza città, con appelli fino a sera a non uscire.
Si sa che il killer è un arabo israeliano, che ha 29 anni, che vive nel Nord, zona Umm al Faqm, dove la propaganda jihadista ha trovato qualche simpatizzante: a denunciarlo è stato il padre, che l’ha riconosciuto in tv e ha ricordato come quel figlio si sia radicalizzato, dal 2006, dopo l’uccisione del cugino in uno scontro con la polizia.
Il terrorista aveva già provato ad aggredire un soldato, anni fa, e l’avvocato lo descrive come un mezzo squilibrato: «Non aveva particolari inclinazioni all’estremismo islamico. La prima volta che è andato in prigione, condannato a cinque anni, il suo stato mentale è stato preso in considerazione dai giudici. Di recente, la sua situazione era peggiorata. Non aveva più un’occupazione regolare, era seriamente disturbato. Mi spiace per la sua famiglia, brava gente che non odia gli ebrei».
Anche la scelta degli obbiettivi sembra casuale: il pub era frequentato prevalentemente da gay, obbiettivo negli anni scorsi di qualche azione violenta della destra razzista, e questo per qualche ora aveva fatto indirizzare altrove le indagini. Finché non s’è scoperta l’identità dell’uomo, ancora in circolazione a tarda notte: «Ha scelto la Dizengoff perché era un buon posto facile da colpire – dicono —. Conosce bene Tel Aviv, vi ha anche lavorato in un mercato d’ortofrutta».
Se si tratta d’un cane sciolto, come credono gl’investigatori e come sembra dalle circostanze, non è per questo meno pericoloso. Le telecamere di sicurezza, che hanno ripreso l’attacco, ci danno l’immagine d’un uomo calmo e determinato. Entra nella drogheria vestito di scuro, con un paio d’occhialoni, prende un carrello e si serve di frutta secca, dolcetti, qualche caramella. Ha uno zainetto e, dentro, l’arma. Fa tutto con tranquillità: apre la cerniera, estrae, preme il grilletto.
Non ha un obbiettivo, anche se qualche testimone giura d’averlo visto mirare su qualcuno. E consumati gli omicidi, se ne va di corsa: su per la Gordon Street, la via che va al mare, e poi a nascondersi come un cane braccato. «Quando sono arrivato c’era l’isteria collettiva – dice un infermiere – la gente cercava di aiutarsi come poteva, qualcuno raccontava che i terroristi erano due o tre, altri che erano mascherati». Nella notte, nuove tensioni: dalla Striscia di Gaza sono stati lanciati quattro razzi, due hanno colpito la zona Sud di Israele senza provocare vittime.