Il Sole 24 Ore , 2 gennaio 2016
Breve storia della Ferrari, dal mito di Drake alla quotazione in Borsa
«Metto le lenti scure perché non voglio dare agli altri la sensazione di come sono fatto dentro». Chissà che cosa proverebbe oggi, nella riservatezza saturnina propria degli uomini duri e sensibili, Enzo Ferrari.
Lo scorporo della Ferrari dalla FCA non è soltanto una operazione di finanza straordinaria. È una vera e propria metamorfosi, destinata a mutare la traiettoria storica e a modificare il profilo industriale e strategico della casa fondata dal Drake.
Con la separazione di Ferrari da FCA e la sua quotazione a Piazza Affari, le cose cambiano non poco. Si chiude un ciclo di lungo periodo iniziato con l’assimilazione, avvenuta nel 1969 con una quota iniziale del 50%, della Ferrari nella Fiat. E se ne apre un altro, che riplasmerà la fisionomia del suo azionariato e che potrebbe influire anche sul perimetro produttivo della casa automobilistica di Maranello.
In questa storia, c’è un doppio piano: la Ferrari inserita nelle logiche più ampie del gruppo FCA e la Ferrari in sé e per sé. Le ragioni risiedono nel primo piano. Gli effetti nel secondo. «Siamo soltanto all’inizio – riflette lo storico dell’economia Giuseppe Berta, dal 1996 al 2002 responsabile dell’Archivio Storico Fiat – questa scelta è il tassello di un mosaico dinamico il cui perno centrale è rappresentato dalla necessità del consolidamento dell’industria dell’auto e dalla conseguente ipotesi di Opa di FCA su General Motors. Lo scorporo consente di raggiungere un duplice obiettivo tecnico. Permette alla famiglia Elkann-Agnelli di valorizzare Ferrari e di mantenerne il controllo, rendendo ancora di più Exor una società di investimenti con asset importanti. In secondo luogo, estraendola da FCA, la mette al riparo qualora non andasse bene un ipotetico take-over su General Motors».
Sul piano della Ferrari in sé e per sé, la trasformazione potenziale appare profonda. «Prima di tutto – rileva Bernardo Bertoldi, docente di family business strategy all’Università di Torino – perché la Ferrari diventa una impresa con una nitida specificità».
Basti pensare che, prima, la sua tesoreria afferiva a Fiat Finance. Adesso, invece, Ferrari avrà una finanza di impresa autonoma». C’è, poi, la questione dell’azionista. Exor deterrà il 23,5% e Piero Ferrari (figlio del Drake) il 10 per cento. Sul mercato ci sarà il 66,5%. “Il titolo risulterà liquido – nota Bertoldi, autore nell’aprile del 2015 del caso “Marchionne at Chrysler” per la Harvard Business School – e, dunque, appare altamente probabile che possa suscitare l’interesse di qualche fondo di private equity specializzato nel lusso, di un grande gruppo industriale specializzato nello stesso segmento o di un tycoon di un Paese emergente”. È vero che, attraverso il patto Exor-Piero Ferrari e il meccanismo delle azioni con diritto multiplo di voto, il controllo resta saldamente in mano agli Elkann-Agnelli. Ma è altrettanto vero che, per la prima volta, Ferrari potrebbe trovarsi con un socio straniero pesante e ingombrante nell’azionariato. Per esempio un emiro del Golfo, che magari non avrebbe comprato FCA, potrebbe invece essere molto attratto da Ferrari. C’è, poi, il problema della natura industriale di Ferrari. E, qui,casca l’asino. Nel senso che, per gli adepti della religione del Cavallino Rampante di stretta osservanza ortodossa, il tema del numero di auto prodotte è una sorta di tabù. Nell’ultimo anno, sono state 7.200. La quotazione in Borsa non potrà lasciare tutto intatto. La Ferrari non è un simulacro fuori dal tempo. La diversificazione e l’incremento dei ricavi potranno avvenire lateralmente attraverso un utilizzo più accorto e redditizio del licensing, operato su uno dei marchi più celebri al mondo. La focalizzazione, invece, resta sulle super-car. Nessuna persona di buon senso può pensare che si possa applicare un moltiplicatore eccessivo al numero di Ferrari prodotte. Il rischio sarebbe quello di perdere il controllo della qualità eccelsa della componentistica e di annacquare l’esclusività dell’icona. Allo stesso tempo esiste un tema di rapporto razionale (e profittevole) con la domanda crescente delle élite internazionali del mondo globale. “Il mercato non va forzato – riflette Alberto Bombassei, titolare della Brembo – ma certo sarebbe interessante se la Ferrari potesse, con gradualità, salire a 10, 11 o 12mila vetture all’anno. Si tratta di una mia valutazione, del tutto personale. Oggi le Ferrari sono vendute soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. Ma esiste un desiderio enorme da soddisfare nei Paesi della nuova ricchezza: basti pensare alla Cina, alla Malesia o alla Birmania”. Naturalmente, un incremento misurato e non traumatico del numero di automobili fabbricate ogni anno a Maranello non porrebbe soltanto una questione di rapporto con la filiera della fornitura, ma aprirebbe anche una questione organizzativa e gestionale. “La Ferrari – nota Berta, autore nel 2006 con Mondadori del saggio “La Fiat dopo la Fiat. Storia di una crisi 2004-2005” – è un meccanismo delicatissimo. Di certo una seppur graduale mutazione della sua natura industriale richiederebbe anche un notevole sforzo di tipo manageriale”. Fra organizzazione e fornitura, l’autonomia di Ferrari da FCA e la sua quotazione prefigurano una operazione che, come è già capitato nei passaggi evolutivi del Cavallino Rampante, potrebbe avere effetti sistemici sul paesaggio industriale italiano. Alberto Bombassei aveva 32 anni nel 1972 quando, da piccolo imprenditore, incontrò Enzo Ferrari: “Ricordo ancora la grande emozione di quel primo colloquio con il Commendatore. Noi ci aspettavamo l’uomo austero e severo conosciuto da tutti. Fu, invece, gentilissimo. Ci diede la nostra prima commessa per un disco freno di serie”. Bombassei parteciperà il 4 gennaio, a Piazza Affari, alla “cerimonia” di quotazione. Ci saranno tutti: Sergio Marchionne (Ceo di FCA e presidente di Maranello) e Amedeo Felisa (amministratore delegato), la famiglia Elkann-Agnelli guidata da John Elkann, Piero Ferrari. Su di loro, lunedì prossimo, non potrà non aleggiare lo spirito di Enzo Ferrari, colto nella sua anima da uomo di frontiera da Enzo Biagi nella biografia uscita nel 1980 per i tipi di Rizzoli: “Mi sembra uno di quei personaggi del West, avventurosi, forti, prepotenti, drammatici, che allevavano bestiame, costruivano ferrovie, scoprivano il petrolio, e portavano in sé, fino all’epilogo, visioni di conquiste e struggenti passioni”. Nuove insidie e nuove opportunità. Ora, per la Ferrari, ci sono altri territori vergini da prov are a conquistare.