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 2016  gennaio 02 Sabato calendario

Banche, entra in vigore il bail-in. Che cos’è e cosa cambia

Per banchieri, investitori e risparmiatori, ieri è iniziata una piccola grande rivoluzione. Perché a tutti gli effetti, con il primo gennaio, è entrata in vigore la normativa sul bail-in: di fatto azionisti, obbligazionisti e, in extremis, anche i detentori di conti correnti sopra i 100mila euro, saranno coinvolti nella copertura delle perdite di una banca in caso di insolvenza.
La misura, di cui si è avuto un primo assaggio – limitato quanto agli effetti – a novembre nel caso del salvataggio delle quattro banche regionali italiane (nella forma del cosiddetto burden sharing), punta a interrompere quel legame “pericoloso” creatosi tra banche in difficoltà e Stati, che negli anni della crisi sono stati chiamati a coprire perdite per centinaia di miliardi (il cosiddetto bail-out), provocando così la crisi del debito sovrano.
Le banche italiane
Ma come si presentano le banche italiane all’appuntamento con il bail-in? Qual è il loro stato di salute? E quali sono i veri rischi che corrono investitori e risparmiatori di fronte a questa eventualità? A scattare una delle fotografie più aggiornate del sistema bancario italiano è stata Prometeia. La società di consulenza ha analizzato i conti dei primi 13 gruppi italiani sotto il controllo della Banca centrale europea. La struttura del passivo nel complesso è formata da 126 miliardi di capitale common equity tier 1; 60 miliardi di obbligazioni Additional tier 1, di cui 54 subordinate; 555 miliardi di obbligazioni senior e 328 miliardi di euro depositi stimati sopra i 100mila euro. Alla luce di questi numeri, se anche ognuna delle prime tredici banche registrasse una perdita pari al 3% degli attivi – un valore che è la media delle perdite subite dalle banche europee finite in procedura di salvataggio – il capitale delle banche italiane sarebbe sufficiente a ripianare le perdite, mentre per i bond subordinati scatterebbe una conversione in azioni, così come per gli strumenti ibridi. Nessun deposito sopra i 100mila euro subirebbe alcun intervento.
Solo con una perdita pari all’8% degli attivi, i sottoscrittori di obbligazioni registrerebbero una perdita secca in conto capitale: in questo caso, il 95% degli ibridi sul mercato verrebbe azzerato (pari a 5,6 miliardi), e altrettanto accadrebbe all’86% delle subordinate, per un totale di 46 miliardi. A subire un impatto (2% di haircut, per circa 10 miliardi) sarebbero anche i bond senior. Ma anche in questo caso non ci sarebbe alcun impatto sui depositi superiori ai 100mila euro, che rimarrebbero tutelati da eventuali crack bancari.
Questa simulazione – peraltro estrema, visto che è improbabile che tutte le 13 banche italiane possano subire una perdita simile in contemporanea – dà una prima indicazione di qual sia, ad oggi, il livello di solidità del sistema bancario italiano. Che, pur mostrando al suo interno una certa eterogeneità (che inevitabilmente spingerà i risparmiatori verso gli istituti più virtuosi), nel complesso appare solido. Il settore del resto arriva all’appuntamento con il bail-in al termine di un lungo round di aumenti di capitale (avvenuti prevalentemente nel 2014), di cessioni straordinarie (come Icbpi) e di razionalizzazioni interne che hanno migliorato fortemente gli indici di forza patrimoniale. A documentarlo sono stati gli stessi esiti degli Srep, i processi di revisione prudenziale della Banca centrale europea: i dati, emersi nell’ultimo trimestre del 2015, hanno evidenziato come le prime 13 banche italiane abbiano indici di patrimonio di vigilanza (il cosiddetto Cet 1 ratio) superiori alle richieste minime.?Banche come Intesa Sanpaolo, Mediobanca o Bpm hanno confermato solidità da top player europei. Due sole banche, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, sono state bocciate da Francoforte per un capitale insufficiente. Ma entrambe le banche venete sono già instradate su un percorso di ristrutturazione e rilancio che ne permetterà la messa in sicurezza entro giugno.
Le prossime tappe
Tutto bene, dunque? Non esattamente. Digerito il bail-in, il sistema bancario si trova nuovamente alla vigilia di un ulteriore lungo round di verifiche, prove e ispezioni da parte della Vigilanza, il cui obiettivo è di rendere il sistema sempre più forte dal punto di vista patrimoniale. In questo senso, ci sarà da monitorare l’esito dei nuovi stress test della Bce, che nei prossimi mesi interesseranno le prime cinque principali banche italiane (Intesa, UniCredit, Mps, Ubi e Banco Popolare). Ma non basta. Come anticipato da Il Sole 24 Ore, gli istituti popolari subiranno una serie di verifiche che metteranno nel mirino gli aumenti di capitale realizzati negli ultimi anni per escludere che vi sia una correlazione tra azioni di nuova emissione e prestiti alla clientela. Ma il vero banco di prova è costituito dal ciclo di ispezioni su crediti della Bce che scatteranno nelle prossime settimane: non è da escludere che da Francoforte, in questo senso, arrivi la richiesta di un aumento degli accantonamenti su crediti non performanti. Per gli istituti domestici, alle prese con una redditività che seppur in recupero rimane comunque bassa, i grattacapi non sembrano essere finiti.

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Cambiano le regole per i salvataggi bancari, cambia la gerarchia dei soggetti che verranno chiamati in causa se e quando ci sarà da salvare una banca in caso di dissesto finanziario. Il principio di fondo, come noto, è quello di evitare – come accaduto in passato in buona parte dell’Europa (ma non in Italia) – che sia lo Stato, cioè i contribuenti, a pagare il conto delle crisi bancarie, in quello che tecnicamente è un bail-out. Con il bail-in, infatti, il salvataggio sarà gestito internamente, cioè ponendo le perdite a carico di tutti i soggetti – privati – che ruotano intorno alla banca finita in dissesto: dagli azionisti agli obbligazionisti, fino ai depositanti.

L’extrema ratio

Prima di entrare nel dettaglio dei diversi soggetti chiamati a intervenire in caso di bail-in, è bene ricordare però che questa è solo l’ultima di una serie di possibili soluzioni di una crisi bancaria. L’obiettivo della direttiva europea Brrd (Bank recovery and resolution directive), infatti, è quello di una gestione ordinata delle crisi: in quest’ottica, qualora un istituto si trovi in dissesto o a rischio di dissesto e le procedure di liquidazione ordinaria metterebbero a repentaglio la stabilità sistemica, verrà avviata una procedura di risoluzione. Governata dalle autorità di risoluzione individuate in ogni Paese (in Italia è la Banca d’Italia), la procedura prevede quattro possibili strumenti: la vendita di una parte della banca a un acquirente privato, il trasferimento temporaneo di attività a una società-ponte in vista di una successiva cessione, il trasferimento di attività deteriorate a un veicolo ad hoc – una bad bank – per la liquidazione, infine il bail-in. Che dunque, è bene ripetere, rimane l’extrema ratio di una crisi bancaria.

 soggetti coinvolti nel bail-in

Qualora l’autorità di risoluzione ritenga che non vi siano altre vie percorribili se non il bail-in, a contribuire al salvataggio saranno chiamati: in prima battuta gli azionisti delle banca, poi i detentori di obbligazioni ibride, poi le subordinate e infine le senior; in ultima istanza, saranno coinvolti i correntisti, ma solo per la liquidità superiore ai 100mila euro detenuta sul conto corrente. Ad azionisti e creditori sarà chiesto un contributo pari all’8% del passivo della banca in crisi. Se necessario, per un massimo del 5% del passivo potrà essere chiamato a intervenire il fondo di risoluzione, mentre l’intervento dello Stato è previsto in circostanze straordinarie.

I rischi concreti
Va detto, per chiarezza, che in Italia il rischio per i correntisti e i detentori sopra i 100mila euro è di fatto solo teorico: per le principali 15 banche italiane perdite pari all’8% del passivo potranno essere coperte utilizzando unicamente gli strumenti di capitale (si veda l’articolo nella pagina accanto). Parlare di bail-in, quindi, vuol dire di fatto parlare di rischio per i possessori di bond ibridi, subordinati e senior. Bond ritenuti rischiosi e che, tradizionalmente, hanno una remunerazione maggiore.
Il rischio, eventuale, per i possessori può prendere due forme: la prima è quella di un azzeramento parziale o totale del valore degli strumenti obbligazionari; la seconda, meno impattante, è quella di una conversione in azioni della nuova banca che si va a costituire dopo il salvataggio. Ex ante, oggi, nessuno può sapere cosa potrebbe succedere ai propri bond qualora la propria banca dovesse finire in bail. Tutto dipende dall’entità della perdita che la banca dovesse subire.

Come muoversi
Nell’incertezza, che cosa fare dunque con i propri bond subordinati, ibridi e senior? La prima cosa è verificare la solidità del proprio istituto. Le banche italiane, che nel complesso sono ben patrimonializzate, hanno comunque diversi profili di capitalizzazione. Per verificarli bisogna concentrarsi su un indice, il cosiddetto Cet 1 ratio (Common equity tier 1) dell’istituto, ovvero il rapporto tra capitale di qualità primaria e gli attivi ponderati per il rischio. Più è alto questo dato, meglio è. A questo va combinata anche un’altra valutazione, ovvero il “cuscinetto” tra il Cet 1 ratio e la richiesta minima di Cet 1 imposta dalla Bce (i cosiddetti Srep): anche in questo caso, maggiore è il cuscinetto, più solida è la banca. Rimane pur sempre valida la regola di buon senso: mai mettere mai tutti i risparmi sui titoli di un solo emittente, per quanto sicuro possa apparire. Infine, chi non riuscisse o non se la sentisse di fare verifiche incrociate, allora forse farebbe meglio a investire in forme alternative di risparmio gestito, come i fondi comuni, che sono seguiti da professionisti del settore.