Tempi, 31 dicembre 2015
Di Maio è come Di Pietro?
Pulizie di fine anno. Riordinando la cassettiera della redazione mi sono capitati tra le mani vecchi ritagli ingialliti di giornale. Erano gli anni di Mani pulite e sui quotidiani capitava di leggere frasi come queste: «Non è un po’farisaico fingere che per prendere politicamente atto della sconvolgente realtà emersa si debbano attendere le sentenze?» (Francesco Saverio Borrelli, luglio 1993). «Noi non incarceriamo la gente per farla parlare. La scarceriamo dopo che ha parlato» (sempre Borrelli, 4 giugno 1993). «La custodia cautelare non può essere limitata, altrimenti la gente si incazza» (Piercamillo Davigo, 14 luglio 1993). Sono passati più di vent’anni, è finita Tangentopoli ma non Mani pulite. Solo qualche settimana fa, Luigi Di Maio, astro nascente del Movimento Cinque Stelle che secondo gli opinionisti ha soppianto Grillo e che per i sondaggisti gode ormai di una popolarità seconda solo a quella di Renzi, ha detto a Libero: «Non sono a favore della presunzione d’innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare, lo chiedono gli elettori». Dovesse poi capitare, come è capitato in questi ultimi quattro lustri, che dopo essere stato rovinato dalla giustizia, risulti innocente, che si fa? Semplice, dice serafico il grillino: «Si ripresenta». Un bel sollievo, che altro dire? Vent’anni fa simili ragionamenti li faceva un certo pm poi finito in politica, tale Antonio Di Pietro, oggi al pascolo nei giardinetti patri. Buon 2016 anche a te, Di Maio, con l’augurio di compiere la medesima transumanza.