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 2015  dicembre 31 Giovedì calendario

Margherita Hack e le 600 civiltà extraterrestri

La ricerca di intelligenze extraterrestri basata su argomenti scientifici è cominciata verso la fine degli anni ’50. Si conoscevano ormai abbastanza bene i meccanismi di formazione ed evoluzione delle stelle, per poter affermare che la formazione di un sistema planetario doveva essere un fenomeno comune. Inoltre, la tecnica radioastronomica era già abbastanza sviluppata per poter captare eventuali segnali radio emessi da altre civiltà distanti qualche decina di anni luce. Si sarebbe potuto anche pensare di captare segnali luminosi artificiali, ma questi sono soggetti all’estinzione da parte delle polveri interstellari e all’assorbimento da parte di un cielo coperto di nubi, tutti ostacoli ignoti alle radioonde. Ammesso quindi che le eventuali civiltà extraterrestri abbiano più o meno le nostre conoscenze o conoscenze più avanzate, cercheranno di mandarci segni della loro esistenza usando le radioonde. Inoltre, poiché fra le radioonde una delle più studiate è la riga di 21 centimetri dell’idrogeno, potrebbero scegliere proprio questa lunghezza d’onda per avere una maggiore probabilità che un osservatore terrestre si accorga di segnali modulati – una specie di alfabeto Morse – sovrapposti ai segnali naturali emessi dal gas galattico. In base a questi ragionamenti, esposti da Giuseppe Cocconi e Philip Morrison in un articolo apparso sulla rivista Nature il 19 settembre 1959, il radioastronomo americano Frank Drake pensò di utilizzare il nuovo radiotelescopio di 25 metri di diametro dell’osservatorio radioastronomico nazionale degli Stati Uniti, situato a Green Bank in West Virginia. Il progetto di Drake prese il nome di Ozma, dal nome della principessa del fantastico paese di Oz, protagonista di un libro di racconti per bambini, famoso nei paesi anglosassoni.
Per fare una stima, sia pure molto grossolana, di quante civiltà possano esistere nella nostra Via Lattea, Drake scrisse un’equazione diventata famosa: N = R* fp ne fl fi fc L
dove N è il numero delle civiltà presenti oggi nella Via Lattea, R* è il tasso medio di formazione delle stelle durante tutta la vita della Via Lattea, e che si ottiene dividendo il numero di stelle galattiche (circa 300 miliardi) per l’età della Galassia (circa 15 miliardi di anni), fp rappresenta la frazione di stelle con un sistema planetario, ne il numero di pianeti, in ciascun sistema, in condizioni adatte allo sviluppo della vita, fl la frazione di pianeti adatti in cui la vita si sviluppa effettivamente e si evolve verso forme molto complesse, fi la frazione di questi pianeti su cui si sviluppano forme di vita intelligente, fc la frazione di questi in cui le forme di vita intelligente sviluppano interesse per le comunicazioni interstellari, e infine L la durata media di una civiltà tecnologicamente avanzata.
In questa equazione l’unico termine abbastanza sicuro è R*. Inoltre si possono escludere tutte le stelle doppie o multiple, i cui eventuali pianeti avrebbero orbite fortemente perturbate dalla presenza della o delle compagne ed inoltre anche le stelle di grande massa ed alta luminosità, che hanno una vita troppo breve per permettere lo sviluppo di forme di vita avanzate. Potremo stimare che un terzo delle stelle galattiche siano singole e di massa solare o più piccola. Per il resto bisogna fare delle ipotesi del tutto gratuite. Per esempio Drake suppone che, come nel nostro sistema solare, ci sia attorno a una stella un solo pianeta adatto alla vita; e che là dove ci sono condizioni adatte allo sviluppo della vita questa evolva sempre naturalmente verso forme di vita intelligente. Ciò equivale a porre fl=fi=1. Ma non è detto che tutte le forme di vita intelligente diventino tecnologicamente avanzate e soprattutto interessate allo sviluppo di comunicazioni interstellari.
Drake assume fc = 0,01, cioè solo una su 100 civiltà è interessata o ha sviluppato tecnologia atta a comunicare con altri sistemi planetari. Infine, l’altra incognita è L. Quanto può durare una civiltà tecnologicamente avanzata? La nostra ha poco più di cento anni, e le tecniche per captare segnali extrasolari hanno meno di quarant’anni. Potrà durare secoli o millenni, o anche molto meno. Dipende dalla nostra capacità di rispettare l’ambiente e di non avviarci verso catastrofi nucleari o verso la distruzione dell’ambiente per eccesso di tecnologia. L’aumento dell’effetto serra e la rarefazione dello strato di ozono sono segnali premonitori inquietanti. Drake assume L=10.000 anni.
Facendo i conti risulta N=20x0,3x1x1x1x0,01x10.000 = 600.
Cioè nella Galassia esisterebbero 600 civiltà in grado di comunicare con noi.
Date le ipotesi fatte, è un conto estremamente incerto, ma comunque Drake, e con lui i più appassionati fautori del progetto SETI (Search for Extra Terrestrial Intelligence), A.G.W. Cameron, Cari Sagan, Cyril Ponnamperuma, hanno perseverato in questa ricerca, che qualcuno – ottimista – ha paragonato alla ricerca di una bottiglia con un messaggio nell’oceano. In realtà l’impresa è molto ma molto più ardua.
 
Alcune condizioni necessarie alla vita
Vi è un certo numero di condizioni cui un sistema solare dovrebbe soddisfare perché vi si possa sviluppare la vita. Naturalmente se facciamo l’ipotesi (assai probabile ma non certa), che sia simile a quella che conosciamo sulla Terra.
Esse sono elencate come segue:
1. Condizioni imposte alla stella centrale:
– La stella centrale dovrebbe essere singola. Un sistema di stelle doppie o multiple impedirebbe lo stabilirsi di orbite planetarie stabili.
– Il sistema planetario dovrebbe contenere pianeti di massa notevolmente inferiore a Giove.
– La stella non dovrebbe appartenere alla prima generazione di stelle galattiche, perché in tal caso la materia da cui essa e i suoi pianeti si sarebbero formati non conterrebbe sufficienti quantità di carbonio, azoto, ossigeno, zolfo, fosforo, ferro, necessari per la formazione di composti biochimici.
– La massa della stella dovrebbe essere compresa grosso modo fra 0,5 e 2 masse solari. Stelle di massa maggiore avrebbero una vita troppo breve per permettere l’evoluzione di forme di vita tecnologicamente avanzate. Stelle di massa più piccola non emettono energia sufficiente ad alimentare la vita anche sui pianeti più vicini al proprio Sole. Dati i rispettivi tempi evolutivi, è probabile che la vita microbica sia di gran lunga più abbondante delle forme altamente evolute.
2. Condizioni a cui devono sottostare i pianeti:
– La massa dovrebbe essere abbastanza grande da trattenere un’atmosfera contenente gli elementi base della vita, idrogeno, carbonio, azoto, ossigeno (ma non troppo)
– L’orbita del pianeta dovrebbe essere quasi circolare per evitare variazioni troppo forti di temperatura e illuminamento, e ad una distanza tale da mantenere la temperatura media del pianeta a valori accettabili (fra circa -20 e +70 °C).
– L’atmosfera dovrebbe essere tale da permettere la formazione di molecole organiche e da proteggere il suolo dalla radiazione ultravioletta.
– Ci dovrebbe essere abbondante quantità di acqua allo stato liquido.
– E necessaria anche una superficie solida, ritenuta necessaria perché le complesse molecole dette monomeri si trasformino in polimeri.
Tutte queste condizioni sono ricalcate esattamente sulle condizioni riscontrate sulla Terra.
Ma non tutti i bioastronomi sono d’accordo.
Una piccola minoranza pensa che la vita non debba necessariamente avere la stessa origine ed essere ovunque basata su RNA e DNA.
Secondo loro, dunque, la vita potrebbe essere molto più diffusa di quanto ritiene la maggioranza, perché non sarebbe necessariamente soggetta a tutte le restrizioni che le nostre forme di vita terrestre richiedono.
Alla ricerca di segnali extraterrestri
Dopo il primo tentativo di Drake, il progetto Ozma del 1959, ne sono stati fatti molti altri, soprattutto da parte di ricercatori americani e sovietici. Drake osservò per tre mesi, e per un totale di duecento ore, due stelle abbastanza vicine, Tau Ceti e Epsilon Eridani, un poco più fredde del Sole, e a circa 12 e il anni luce rispettivamente. La lunghezza d’onda impiegata era quella di 21 centimetri dell’idrogeno interstellare. Da allora a oggi le osservazioni fatte con vari strumenti e in vari osservatori ammontano a più di 200.000 ore, equivalenti a osservazioni continuate per ventitré anni. Frattanto, il progresso tecnologico ha reso molto più efficienti questi mezzi.
Se la sensibilità dei nostri ricevitori è abbastanza grande, si potrebbero rivelare anche segnali radio non necessariamente inviati nello spazio allo scopo di comunicare con altri sistemi solari, ma usati da questa ipotetica civiltà per trasmissioni fra vari luoghi del loro pianeta o, anche, fra pianeta e pianeta del loro sistema solare.
Certo si possono fare infinite ipotesi sul numero, grado di sviluppo, distanza di altre civiltà, sul loro interesse o meno di comunicare con altri sistemi solari, sul modo in cui potrebbero farlo, ma finché non riceveremo un segnale sicuramente artificiale, le nostre ipotesi resteranno tali.

(tratto da L’universo alle soglie del Duemila, Rizzoli, 1995)