Avvenire, 31 dicembre 2015
Trump spende due milioni a settimana per gli spot tv
Un mese alle primarie americane, un mese perché si alzi il sipario sullo “show” più lungo del 2016, quello che deciderà i due sfidanti per l’ingresso alla Casa Bianca nelle presidenziali di novembre. Si parte il primo febbraio con i tradizionali caucus dell’Iowa – che garantiranno ai vincitori grande visibilità e di conseguenza nuovi fondi utili al proseguo della campagna – per approdare otto giorni dopo nel New Hampshire.
Tra i democratici l’ex segretario di Stato Hillary Clinton ha distanziato i rivali nei sondaggi nazionali, superando indenne anche lo scoglio della commissione parlamentare d’inchiesta sull’attacco al consolato Usa di Bengasi nel 2012 nel quale morirono quattro cittadini americani, tra cui l’ambasciatore Christopher Stevens. Clinton viaggia ad una media del 54% di consensi contro il 30% del senatore del Vermont Bernie Sanders, che da sempre si dichiara socialista e sembra attrarre molte simpatie tra gli indipendenti. E proprio questo gruppo di elettori potrebbe regalargli un’insperata vittoria nel temuto New Hampshire, lì dove oltre il 40% degli elettori è indipendente. Nei sondaggi locali, infatti, Sanders è in testa con il 49%, con Hillary che insegue al 43. Vincendo, Sanders guadagnerebbe un’impennata di popolarità, anche se sarebbe comunque dura poi mantenere la leadership in Stati in cui è poco conosciuto.
Sul fronte repubblicano la sfida per la nomination è molto più aperta, sebbene Donald Trump sia ad oggi saldamente in testa. Il tycoon dell’immobiliare ha annunciato ieri l’inizio di una mega campagna televisiva per svariati milioni di dollari. Finora, Trump non ha ancora investito denaro per spot televisivi, ma con l’avvicinarsi dell’inizio delle primarie ha annunciato un’inversione di tendenza. «Voglio spendere un minimo di due milioni a settimana, e forse molto più di questo», ha detto ai giornalisti a bordo del suo aereo.
La candidatura di Trump attira attualmente il 36% delle preferenze nei sondaggi, il doppio del senatore del Texas Ted Cruz, con Marco Rubio fermo all’11%. Dietro di loro gli altri 8 candida- ti, troppi per una competizione che il prima possibile dovrà scremare il rivale giusto da contrapporre all’erede di Barack Obama in campo democratico. Per attaccare Hillary, ancora ieri Trump è tornato a scagliarsi contro il marito Bill, definito una delle persone che più al mondo ha abusato delle donne. Ad oggi la domanda è solo una: Trump resisterà o è destinato a scoppiare quando le primarie entreranno nel vivo?
Tra gli addetti ai lavori il miliardario non riscuote grandi consensi. I media amano prenderlo in giro, ma riconoscono che Trump, con le sue sparate, è perfetto per attirare l’attenzione del pubblico. Trump, insomma, fa audience. Ma sarebbe anche un buon candidato? L’esta-blishment del partito repubblicano probabilmente gli preferirebbe uno qualsiasi tra gli altri candidati, ma sono gli elettori a votare e il miliardario ha mostrato di non cedere nemmeno davanti alle sue stesse gaffes. Anzi, è vero semmai il contrario. Anche proposte come quella di «chiudere l’Internet» o di vietare l’ingresso negli Usa ai musulmani in funzione anti-terrorismo, per non parlare dell’irriverenza con cui ha sminuito l’eroe del Vietnam John McCain, non gli hanno alienato simpatie, dando anzi il via alla sua fuga nei sondaggi.
Riconoscere che Trump sia sintonizzato con la “pancia” degli americani è, oggi, il minimo. E sbaglia chi pensa che i suoi consensi provengano solo dai bianchi o dall’ala destra dell’elettorato. Il candidato anti-sistema e per niente “politically correct” sfonda infatti anche tra le minoranze: 40% di consensi tra i neri, 45% tra gli ispanici, 19% tra gli asiatici. Solo il “gran circo” delle primarie potrà dire però se queste simpatie si tramuteranno in voti sonanti.