Avvenire, 31 dicembre 2015
Ci sono ancora sei italiani in ostaggio in giro per il mondo
Voglio una Siria «plurale e armoniosa, dove regni la religiosità, cioè dove le persone si amano perché essere umani, creature di Dio, e quindi con diritti e dignità e il meritato rispetto. Religiosità significa guardarsi come Dio guarda le sue creature». Difficile pensare che questo desiderio, di straordinaria attualità, sia stato formulato due anni e mezzo fa. Allora il mondo non conosceva la brutalità del Daesh. Il conflitto siriano, però, già precipitava nel baratro della guerra settaria e la fede veniva manipolata dai vari gruppi nella lotta del tutti contro tutti.
Padre Paolo Dall’Oglio, gesuita e missionario da quasi 40 anni nel Paese, l’aveva compreso, leggendo “i segni dei tempi”. E lo aveva detto con forza nell’intervista rilasciata alla fine del luglio 2013, all’arrivo a Raqqa, dove era rientrato di nascosto dopo oltre un anno di “esi- lio” imposto dal regime. Poco dopo, il 29 luglio 2013, il sequestro. Alcuni stralci di quella testimonianza sono stati diffusi dal sito Ana Press e rilanciati in Italia dall’associazione degli Amici di padre Dall’Oglio poco prima di Natale. Un modo per non ricordare il sacerdote, rapito da una delle tante fazioni.
Chi e perché ancora non si sa. L’incertezza dura ormai da 885 giorni. Ciclicamente, voci non verificate sembrano rompere il muro di silenzio. L’illusione dura lo sprazzo di qualche post via Web. Poi, i suoi spariscono. E il silenzio si fa ancora più spesso. Padre Dall’Oglio è, al momento, l’ostaggio italiano più noto data la lunghezza del sequestro. Non, però, l’unico. Oltre al gesuita, sono cinque i connazionali rapiti nel mondo. L’ultimo, ad essere strappato alla propria quotidianità, è stato Rolando Del Torchio: il 7 ottobre scorso, un commando armato è entrato nel suo ristorante a Dipolong, nell’isola filippina di Mindanao, e l’ha portato via.
Del Torchio, originario della provincia di Varese, era nelle Filippine dal 1988: era arrivato nel Paese come missionario del Pime, nel 1996, però, aveva lasciato il sacerdozio e aperto il “Ur Choice Café”, il locale dove è stato sequestrato, probabilmente, da separatisti islamici. Tre mesi prima, era toccato in Libia, a Gino Policardo, Filippo Calcagno, Salvatore Failla e Fausto Piano, rapiti il 19 luglio scorso vicino all’impianto petrolifero di Mellitah, una zona sotto il controllo di milizie islamiste vicine al governo non riconosciuto di Tripoli.
I quattro lavorano come tecnici per la società di costruzioni parmigiana Bonatti. Fanno, dunque, «parte di quell’esercito di nostri connazionali che ci consente di cucinare e di accendere il riscaldamento ogni giorno nelle nostre case», scrive lo scrittore Pino Agnetti che, su Facebook, ha di recente lanciato un appello “Per la libertà di Gino, Filippo, Salvo e Fausto”. Su questo e gli altri casi di sequestro, le autorità mantengono il riserbo. In più occasioni, però, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni ha ribadito l’impegno della Farnesina per il rilascio degli ostaggi.