il Fatto Quotidiano, 31 dicembre 2015
«Ridurre la velocità delle auto può inquinare di più». Il parere di un chimico ambientale
«Prima di tutto andrebbe fatta un’analisi seria per capire quale sia l’origine precisa di questo inquinamento e delle polveri sottili che ci sono nelle città. Poi, sulla base dei risultati, dovrebbero essere applicate misure specifiche».
Federico Valerio, chimico ambientale, ha fatto parte di gruppi di lavoro Unichim e dell’Istituto Superiore di Sanità e per anni ha lavorato all’Istituto Nazionale di Ricerca sul Cancro di Genova.
«Lì – racconta – dovevamo verificare le fonti dell’inquinamento che c’era in città. Sospettavamo dipendesse dalle acciaierie e così, prima di interventi inutili e dannosi anche per l’economia della città stessa, abbiamo verificato quale fosse la vera origine. Un procedimento che andrebbe sempre applicato quando si parla di inquinamento. Alla fine, scoprimmo che il problema erano le acciaierie».
Professor Valerio, il governo annuncia un decalogo di regole per i comuni, dal ridurre i riscaldamenti di due gradi, al portare i limiti di velocità a 30 km/h in città e a 70 in autostrada. Cosa ne pensa?
«Mi vengono in mente alcune domande: chi girerà casa per casa a controllare che il livello di riscaldamento sia stato ridotto? Se ne occuperà il condominio? Il singolo? Non è una soluzione applicabile. Ridurre la velocità delle auto, poi, potrebbe in certi casi peggiorare la situazione. Secondo molte ricerche, il rendimento delle auto è migliore quando aumenta la velocità e si ha un’andatura costante. Più la marcia è alta, minori sono i giri del motore. Quindi in autostrada a parità di chilometri percorsi, le auto inquinerebbero anche meno di quanto non facciano in città. Ma comunque, non è lì il problema principale, sono briciole. Ripeto, va chiarito dove si trovi esattamente l’origine dell’inquinamento, non si prendono provvedimenti alla cieca. Le polveri sottili viaggiano: basti pensare alla Pianura Padana».
Come si fa?
«Semplificando, si prendono le polveri sottili e si analizza, con tecniche a disposizione di qualsiasi Arpa, la loro composizione e la loro correlazione nel dettaglio. A quel punto si è in grado di dire quanto delle polveri sottili arrivi dal traffico, quanto dal riscaldamento a metano o a legna, quanto dal traffico pesante, quanto dalle polveri secondarie etc».
È una tecnica efficace?
«In Trentino, si sono accorti che l’inquinamento era dovuto alla combustione della legna. Ma siamo comunque di fronte a situazioni che si trascinano da decenni».
Perché si è arrivati a questa emergenza?
«Si è perso troppo tempo. Non c’era bisogno che smettesse di piovere per scoprire che le polveri sottili sono dannose, non bisognava arrivare a questo punto critico. Da anni ambientalisti, docenti, esperti e ricercatori lanciano l’allarme e propongono riforme strutturali. Eppure non è stato fatto nulla. Parlare del cambiamento climatico, poi, significherebbe aprire una parentesi infinita. Ma è un aspetto che va considerato».
Lei come si comporterebbe a questo punto?
«Mi fermerei un attimo a ragionare e approfitterei di questa situazione, seppur tragica se si considerano i decessi e i ricoveri per problemi respiratori, per studiare come evitare che si ripresenti. Ma con soluzioni strutturali, durature e profonde. Le targhe alterne non bastano. Bisognerebbe spostare la mobilità su trasporti collettivi, però elettrificati. E nella fase transitoria favorire il passaggio al metano piuttosto che al gasolio. Questa è l’unica soluzione».