Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 31 Giovedì calendario

Chi si rivede, Carletto Mazzone

Di Carletto Mazzone si ricordano tante di quelle cose che sarebbe impossibile elencarle tutte, per questo ne citiamo tre: le 795 panchine in Serie A (record italiano), la cura con cui per 40 anni ha fatto da papà a grandi campioni e la celebre corsa sotto la curva dell’Atalanta dopo il 3-3 firmato dal suo Brescia.
Oggi, Sor Carletto, 78 anni, romano di Trastevere, il suo «fratello gemello» l’ha riposto in soffitta, e ad Ascoli, dove vive da anni, tra una partita a tresette e una passeggiata al mare si gode la sua pensione. Lì dove la sua carriera da allenatore ebbe inizio. Di quella squadra Massimo Silva disse: «Potevamo tener palla anche per 60 minuti», i tifosi ribattezzarono la via che porta allo stadio “Via del Bel Calcio” e il suo motto è sempre stato «palla a noi».
Mazzone, non è che anni dopo, a Brescia, anche Guardiola imparò qualcosa da lei?
«Ricordo che Peppe (alla romana, ovviamente, ndr) era un grande professionista, un ragazzo eccezionale. Non credo di avergli insegnato qualcosa sul piano tattico, era già un allenatore in campo».
Eppure le dedicò la vittoria della Champions 2009. Se l’aspettava che avrebbe avuto una carriera del genere?
«È quello che merita, ha sempre avuto un’umiltà fuori dal comune. Era silenzioso e pensava solo a lavorare sodo. Fui io a consigliargli di andare alla Roma».
Già, la sua squadra del cuore. Cosa pensa della crisi dei giallorossi?
«Non sento di poter dare giudizi, per capire quali possano essere i problemi della squadra bisognerebbe essere al fianco di Garcia. Io, poi, ormai prendo visione dei risultati di Roma, Ascoli e Brescia, alcune delle squadre che ho avuto l’onore di allenare, ma non seguo più molto le partite».
L’ambiente giallorosso però lo conosce bene...
«Sì quello non è cambiato neppure dopo tanti anni. Roma è una piazza avvolgente. Il tifoso romano è sempre disposto a dare nuova fiducia alla squadra. Certo, vuole vincere, essere protagonista e vedere professionalità. Se una di queste componenti manca a volte contesta. Ma poi alla prima vittoria torna l’entusiasmo».
Lei allenò la Roma qualche mese dopo l’esordio di Totti. Pensa che il capitano giallorosso stia mancando alla squadra?
«Sono di parte. Come ho sempre detto, Totti per me è come un figlio. Ha grande entusiasmo. Anche se non è più un ragazzino è orgoglioso di essere romano e romanista. Gli interessa solo di vedere la Roma in alto».
È stato un “allenatore padre”, come Bearzot e Maestrelli. È vero che Baggio a Brescia fece inserire una clausola nel contratto che lo avrebbe liberato in caso di un suo addio?
«Sì, me lo chiedono in tanti. Lo seppi solo dopo, e ne fui molto contento».
Tra gli altri, sotto la sua guida si affacciò nel grande calcio anche Antonio Conte, suo giocatore a Lecce. Che ricordo ha di lui?
«A quei tempi non stava bene fisicamente, io lo aiutai a riprendersi e suggerii a Boniperti il suo acquisto».
Pensa sia l’uomo giusto per guidare la Nazionale anche dopo l’Europeo?
 «Certo. Conte è uno gagliardo, determinato, rispetta il rapporto con i suoi giocatori ed è il primo a dare l’esempio sia nella vita privata che nello spogliatoio. È perfetto per l’Italia».