Libero, 31 dicembre 2015
Il Portogallo ha trasformato 1,9 miliardi di bond in azioni
Vale tutto. Vale scrivere le regole e poi rimangiarsele. Vale difendere una riforma a spada tratta, salvo accorgersi che fa acqua da tutte le aprti e quindi ammettere, seppur sottovoce, che va cambiata (in corsa, ovviamente). Più che l’Unione bancaria è una giungla quella creata a Bruxelles dai tecnocrati che passano il giorno a scrivere regole senza capirne a fondo gli effetti. E così ieri in Portogallo è scattata la legge del più forte.
La Banca centrale portoghese ha ordinato il trasferimento di alcune obbligazioni ordinarie di Novo banco nella bad bank Banco Espirito Santo, creata dopo lo smembramento dell’istituto Espirito Santo, imponendo così le perdite sugli obbligazionisti ordinari. «Questa misura si è resa necessaria per fare in modo che le perdite di Banco Espirito Santo vengano innanzitutto sostenute da azionisti e obbligazionisti e non dal sistema finanziario e dai contribuenti», ha spiegato la Banca centrale di Lisbona.
Avete letto bene. Sono stati colpiti, in spregio alla riforma del bail in, anche i titolari di obbligazioni standard, alle quali le regole sui salvataggi bancari – che entreranno in vigore domani in tutta Europa – dovrebbero garantire protezioni maggiori. Una garanzia sulla carta, stracciata a da Lisbona. Evidentemente – con le banche del Vecchio continente al collasso – ogni paese si comporta come vuole. Con buona pace della trasparenza e della tutela dei piccoli risparmiatori.
E proprio su questa categoria va registrata una pesante dichiarazione dell’Ue, passata un po’ in sordina e riportata solo da Radiocor. Il caso bancario esploso in Italia con la risoluzione di Marche, Etruria Chieti e Ferrara ha indicato ieri un portavoce della Commissione Ue, «ha fatto emergere la necessità di stringere le maglie della tutela dei risparmiatori individuali». Di qui l’idea di una indagine a tappeto per dare il via a una riforma della riforma (che peraltro deve ancora entrare in vigore: un record). Sono diversi i campi della verifica che Bruxelles vuole attivare per capire come cambiare il quadro normativo. Uno tocca gli oneri di regolazione «non necessari»: si va dalla sproporzione tra il peso amministrativo e finanziario della norma e i risultati in termini di sicurezza e di stabilità finanziaria. Un altro campo di indagine riguarda le duplicazioni e le incoerenze della regolazione degli ultimi sei anni che possono dipendere anche dall’applicazione «non appropriata» delle norme a livello nazionale. Con pochissime parole, Bruxelles ha smontato pezzo per pezzo l’attuale assetto legislativo che non appare in grado di scoraggiare l’assunzione di rischi finanziari eccessivi né di ridurre il rischio del sistema finanziario.
Ma se, a sorpresa, la Commissione fa marcia indietro sulle direttive bancarie, in Italia sotto i riflettori restano le sofferenze dell’intera industria creditizia. Una mina da oltre 340 miliardi di euro (secondo una indagine diffusa ieri che estende l’analisi oltre i 200 miliardi di semplici crediti deteriorati) che il governo cerca, invano, di disinnescare con una bad bank supportata da garanzie statali.
Il viceministro dell’Economia, Enrico Morando, ha assicurato che entro poche settimane la Ue darà una risposta a una nuova proposta presentata da Roma. L’idea è creare un mercato dei prestiti non rimborsati da famiglie e imprese, ma la stampella di Stato – che potrebbe essere la Cassa depositi e prestiti o la sua controllata Sace – continua a non piacere in Europa.