La Stampa, 31 dicembre 2015
La grande scommessa del 2016 di Fabio Aru è il Tour
La grande scommessa. Dopo una stagione esaltante con il 2° posto nel Giro d’Italia e la conquista della Vuelta, a soli 25 anni Fabio Aru è già fra i big delle grandi corse a tappe. Eppure non vede l’ora di affrontare il test più terribile, quello che fa davvero la differenza: il Tour de France. Che Aru sfiderà per le prima volta in carriera il prossimo luglio e con i gradi di capitano.
Aru, come giudica il suo 2015?
«Ottimo perché sono cresciuto tanto, anche di testa. E mi è servito di più perdere il Giro che vincere la Vuelta».
Prego?
«Al Giro sono riuscito a resistere a problemi fisici che l’hanno trasformato in una lunga sofferenza. Almeno 4 o 5 volte ho pensato di ritirarmi per un virus intestinale, ma ho sempre fatto finta di niente, se no mi avrebbero attaccato».
Dunque un secondo posto finale più dolce o amaro?
«Per me vale come una grande vittoria».
Senza quel virus avrebbe battuto anche Contador?
«Non posso dirlo, ma il mio rendimento sarebbe stato migliore».
Come poi si è visto alla Vuelta...
«Al via speravo di puntare al podio. Nella tappa di Andorra ho capito che avrei potuto vincere».
Anche senza l’aiuto di Nibali, espulso il secondo giorno per essersi fatto trainare dall’ammiraglia.
«Per noi è stato un avvio di Vuelta molto complicato, anch’io quel giorno ero caduto. Per fortuna abbiamo ritrovato in fretta gli equilibri. Ed è andata bene».
Ma lei non riesce proprio mai a dire “sono stato il più forte”?
«Non mi piace esaltarmi, preferisco l’umiltà, fa parte del mio carattere. E non amo le luci della ribalta».
È per quello che a fine stagione si è concesso raramente a festeggiamenti o premiazioni?
«Troppi ricevimenti distolgono dalla preparazione. Io invece sono riuscito a fare almeno 4 ore di bici tutti i giorni, alzandomi prima al mattino o pedalando sui rulli la sera».
Lei ha la maturità classica ed è considerato un corridore molto intelligente. La testa conta più delle gambe?
«È almeno altrettanto importante. Una grande prestazione si costruisce ogni giorno curando il riposo, l’alimentazione, la preparazione e la vita privata. E io sono molto pignolo».
La sua fidanzata Valentina che ne dice?
«Mi capisce e mi aiuta. Ha pazienza e passione, spesso viene alle corse e in ritiro, ha anche guidato lo scooter negli allenamenti dietro moto. In corsa per sentirla più vicino porto lo stesso braccialetto che ha lei».
Non le pesano tanti sacrifici?
«Sono pagato per fare ciò che amo e mi fa star bene, anche mentalmente. Cosa posso volere di più?».
Rinunce, umiltà, passione, metodo: è questo il suo ciclismo?
«Non basta. Per me conta ancora di più la correttezza».
Allude a chi ancora ricorre al doping?
«Vincere barando non ha senso, è molto meglio perdere».
Oltre ai grandi giri, non sogna una classica monumento?
«Mi piace molto la Liegi, nel 2016 magari vorrei provarci».
Poi andrà al Tour, che non ha mai corso né visto nemmeno da spettatore. Spaventato?
«Uno stimolo enorme, il mio pensiero è già là. Chiederò a Nibali».
A proposito: lei e Nibali a volte sembrate due galli nel pollaio. Problemi di convivenza in casa Astana?
«Lo scrivete voi giornalisti ma io e Vincenzo andiamo d’accordo e spesso ci aiutiamo, com’è successo nella Tre Valli o ad Abu Dhabi. Nessun problema, possiamo coesistere nello stesso team».
Cosa le piace di Nibali e che cosa non le va?
«Ha caparbietà e determinazione, in discesa è un mostro, ho solo da imparare. A patto che non mi coinvolga nei suoi videogiochi».
Un modello al quale vorrebbe assomigliare?
«Mi piace molto Alberto Contador».
E negli altri sport?
«Per me il numero 1 resta sempre Valentino Rossi».