il Giornale, 31 dicembre 2015
Tutti gli errori di Renzi spiegati da Michele Ainis
Giurista, costituzionalista, osservatore attento della società, Michele Ainis – toni bassi e riflessioni alte – può aiutarci a capire lo scenario politico prossimo venturo.Professore, cosa pensa del discorso di fine anno di Renzi? È uno che «fa» o solo uno che incanta?
«La politica è fatta, anche, di incantesimi. Oggi il vero politico deve possedere una capacità mediatica. Renzi ce l’ha, e fa il suo mestiere: propagare ottimismo e raccontare i buoni risultati del suo governo. Detto questo, sarebbe disonesto negare il lavoro dell’esecutivo: sono state licenziate riforme sulla scuola, sul lavoro, sui diritti civili...».
Bene. Le riforme ci sono. Ma lei come le valuta?
«Il mio criterio di giudizio è sempre la capacità di semplificare le leggi, la burocrazia, il mercato del lavoro, gli assetti sociali e istituzionali. E da questo punto di vista nell’attività di Renzi c’è stato a volte un eccesso e a volte un difetto di semplificazione. Ha ecceduto in semplificazione nei suoi rapporti con le parti sociali, che non si possono liquidare in modo così perentorio....».
Sta dicendo che Renzi ha maltrattato i sindacati.
«Un po’ sì...».
E dove Renzi ha semplificato troppo poco?
«Dove era più importante farlo. Faccio tre esempi. Legge elettorale: la soglia del 3% per entrare in Parlamento è troppo bassa, mantiene un pulviscolo di partiti inutili. Bicameralismo: non è vero che avremo un processo legislativo semplificato perché rimangono 7 categorie di leggi dove servirà sia il voto della Camera sia quello del Senato. E infine la semplificazione dei rapporti tra Stato e Regioni è solo di nome: di fatto in molte materie lo Stato continua a dettare le norme di carattere generale e le Regioni a decidere nel dettaglio...».
Renzi parla tanto, in conferenza stampa, in tv, sui social... Parla di tutto, ma non del voto nei grandi Comuni in primavera...
«D’Alema docet. D’Alema investì tutto sul voto amministrativo, perse le elezioni e perse il governo. Da allora tutti i premier, da Prodi a Berlusconi, hanno sempre preso le distanze dal voto amministrativo».
Renzi è arrivato a Palazzo Chigi senza voto popolare. È ancora un
«peso» per lui?
«Gli italiani, dalla Seconda Repubblica, sono vittima di un’illusione: pensano di vivere in un sistema presidenziale mentre invece sono dentro un sistema parlamentare. I governi nascono e muoiono in Parlamento. Però è vero che ormai si presume che la legittimazione di un premier passi dall’indicazione data dagli elettori. E Renzi ha cercato di procurarsela in modo indiretto, con le scorse elezioni europee. Ecco perché punta tutto sul referendum costituzionale nel 2016: è da lì che arriverà la consacrazione».
Del resto, l’effetto novità sembra finito. I sondaggi lo danno in calo.
«Renzi è figlio di una lunga stagione di impotenza: nei 20 anni della Seconda Repubblica abbiamo avuto un sistema incapace di rinnovarsi. Tante riforme costituzionali fallite, una moltiplicazione di poteri di veto e una classe dirigente immobile. Tutto ciò ha provocato una reazione di rifiuto da parte degli italiani. Lui ha intercettato il malessere con la rottamazione. Il fatto, però, è che dopo due anni di governo lui dà il meglio di sé nella pars destruens, quando c’è da abbattere privilegi, sprechi,... mentre non brilla nella pars costruens: diciamo che dove c’è da disegnare un nuovo paesaggio istituzionale non si vede il nuovo che avanza».
A proposito di nuovo e riforme. La Rai: Renzi s’è pigliato tutto?
«Credo che la riforma della Rai comporterà un bel lavoro per la Corte costituzionale. La concentrazione di poteri nel direttore generale, nominato da Renzi, significa accaparrarsi un gruzzolo di fiches per giocare sulla governance dell’azienda pubblica. In passato la Corte costituzionale dichiarò casi simili illegittimi».
Sta dicendo che la riforma Rai è incostituzionale?
«Sto dicendo che avanzo dei dubbio».
E lo scandalo di Banca Etruria? C’è o no il conflitto di interessi del ministro Boschi?
«Difficile dire. Però il fatto che si sia assentata dalle sedute del Consiglio dei ministri in cui si prendevano decisioni sulla banca in cui lavorava il padre, qualche dubbio lo alimenta».
Lei nel suo nuovo libro L’umor nero (Bompiani) dice che l’Italia soffre di un profondo scontento, così come le troppe inutili leggi scontentano gli italiani.
«Una cosa dipende dall’altra. Il labirinto normativo di cui siamo vittime è la proiezione di un labirinto esistenziale, un vissuto collettivo sempre più umorale, nevrotico. È più facile puntare l’indice contro uno spreco o una ruberia che trovarsi d’accordo su che cosa è giusto fare. I risentimenti prevalgono sui sentimenti. Secondo l’Istat 8 italiani su 10 non si fidano del prossimo, del collega, del vicino di casa... Ecco cos’è l’umor nero che attraversa la società».
La politica cosa può fare?
«Una politica autorevole non dovrebbe vellicare lo stomaco della società. Ma sapere prendere decisioni anche impopolari, se sono giuste. Per esempio: oggi si è imposto un becero sentimento di invidia sociale per cui se uno fa il dentista e guadagna 4mila euro al mese, è uno scandalo, anche se ha due lauree e lavora 10 ore al giorno. Ma perché? E perché se si deve spendere anche solo un euro per le istituzioni, è sempre troppo? Qualcuno ha fatto notare che se dovessimo rottamare il Senato la gente chiederebbe quanto costano le ruspe... Ecco: spesso i politici preferiscono accarezzare questi umori neri invece che governali».
Cosa devono fare invece?
«Essere esempi virtuosi di pacatezza nei comportamenti e nelle parole. E fin qui è stato esemplare il presidente Mattarella. Ha misurato le parole e fatto risparmiare il Quirinale».
A proposito di politici che solleticano gli umori neri del Paese. Cosa stanno facendo Salvini e Grillo?
«I loro partiti sono quelli che hanno guadagnato di più nel 2015. Ma la cosa importante è che l’aver saputo intercettare il consenso popolare è merito dei nuovi gruppi dirigenti. I 5 Stelle vanno a gonfie vele perché non sono più appiattiti sulla coppia Grillo-Casaleggio e hanno espresso altri leader. E la Lega ha Salvini, che è sì un uomo solo al comando, ma anche un uomo nuovo. L’Italia cerca facce nuove. Seppure dovrebbe trovare anche idee nuove...».
E il centrodestra? È imploso o può ancora trovare una sua identità?
«Può, eccome. Gli italiani non sono comunisti trinariciuti, in maggioranza sono moderati. Il problema ora per la destra oè trovare un leader. Che non può essere Salvini, troppo poco moderato. Ci vorrebbe un Berlusconi degli anni ’80-90, o un Di Maio di oggi. Una persona innovativa e rassicurante».
Cosa ci aspetta nel 2016?
«Il mio pronostico? Il Pd ottiene un buon risultato alle amministrative e Renzi un ottimo successo al referendum costituzionale in autunno. A quel punto c’è lo scioglimento anticipato delle Camere, anche perché sarebbe bizzarro che rimanga in vita un Senato che non c’è più, e si vota. Il Pd però non prende il 40% e vanno al ballottaggio Renzi e Di Maio. Il primo va a casa, il secondo diventa presidente del Consiglio».