La Stampa, 31 dicembre 2015
Mario Calabresi saluta La Stampa e i suoi lettori
Leggere un giornale significa appartenere a una famiglia, condividere riti, ripetere ogni giorno gesti istintivi, sapere dove cercare le cose, ridere, commuoversi, indignarsi, arrabbiarsi, ma soprattutto avere un compagno di strada.
Dirigere un giornale significa rispettarne l’identità, avere a cuore la salute di questa famiglia di lettori e giornalisti, rinnovare e migliorare ogni giorno la casa e saper ascoltare.
L’ho fatto per sei anni e otto mesi e oggi è il mio ultimo giorno da direttore della Stampa. È stato un periodo lungo e felice, in cui la crisi e le difficoltà sono state superate grazie alla passione e alla voglia di cambiare che ho condiviso con la redazione e con i lettori.
Per fare un bilancio potrei partire dai conti tornati in attivo, dai prodotti digitali, che ci permettono di essere all’avanguardia nel mondo, dai tantissimi lettori che abbiamo conquistato su Internet, o dalla nuova sede che è la più moderna d’Italia e l’unica a contenere un museo.
Invece partirò dalla cosa che più ha lasciato il segno dentro di me: il rapporto con i lettori, con la storia di questo giornale e con il suo territorio. L’esperienza più emozionante l’ho fatta alcune estati fa con il viaggio tra gli abbonati storici: li ho intervistati uno ad uno e questo mi ha permesso di capire quanto «La Stampa» sia nella vita e nella memoria di ognuno di voi. Chi mi ha raccontato che lo sfoglia partendo dal fondo, chi invece comincia dal «Buongiorno», chi dalla cronaca, chi dalle lettere, chi dai necrologi e poi chi non sopporta che qualcuno lo abbia aperto prima di lui e chi invece lo sbircia al bar, ma poi se lo guarda con calma la sera.
Siamo il giornale con gli abbonati più fedeli, pochi mesi fa ho telefonato alla signora Irma Benedetto, nel giorno del suo 104° compleanno, e lei mi ha commosso: «Ho cominciato a leggere “La Stampa” esattamente un secolo fa, mia madre la appoggiava sul tavolo la sera e mi insegnava le lettere e le parole. Avevo quattro anni, non c’era la luce elettrica e io imparavo grazie al lume a petrolio». Non è solo il passato ad emozionarmi, ma l’idea di essere entrato nel futuro con voi, ne ho avuto l’esatta percezione il giorno in cui ho lanciato la newsletter, in cui racconto la cucina del giornale, e la prima e-mail di complimenti era di una lettrice ottantenne che si era subito iscritta.
La mia avventura alla «Stampa» è cominciata il 29 aprile 2009, nel momento drammatico di inizio della crisi economica e del crollo della diffusione della carta stampata. Nessuno allora avrebbe scommesso sullo stato di salute con cui «La Stampa» sarebbe arrivata a compiere il suo centocinquantesimo compleanno, che si celebrerà il 9 febbraio del 2017, tra poco più di 13 mesi. Quasi per pudore non se ne parlava, ma anziché arrenderci alle molte previsioni catastrofiche ci siamo rimboccati le maniche e non abbiamo smesso un attimo di lavorare per garantire un futuro a questa testata che ha fatto la storia del giornalismo italiano. Con caparbietà, coraggio di cambiare e un non comune spirito di squadra – che ha accomunato l’editore, l’amministrazione, i giornalisti, i tipografi e i rotativisti – ce l’abbiamo fatta. Il mio orgoglio più grande oggi è di lasciare un giornale in ottima salute: l’integrazione tra la carta e il digitale è riuscita, la qualità è stata preservata e abbiamo costruito un laboratorio di innovazione che garantisce un futuro. Non solo, ci siamo anche permessi il lusso di lanciare «Origami», un nuovo prodotto solo di carta, senza pubblicità e dedicato all’approfondimento di un solo tema ogni settimana. La risposta è ottima, segno che nell’epoca del caos offrire punti fermi funziona, tanto che ne vendiamo il triplo del previsto e per il sessanta per cento fuori dal nostro bacino tradizionale del Nord-Ovest.
La chiave è stata di non essere mai prevedibili e scontati, di amare il territorio di appartenenza – a cui viene dedicata un’attenzione straordinaria – ma insieme di continuare a raccontare il mondo, tenendo lo sguardo sveglio, di non arrendersi al populismo, ma di continuare a coltivare il ragionamento e lo spirito scientifico. Ci siamo sforzati di dare più punti di vista e offrire contesti razionali anziché farci travolgere dalle reazioni emotive, ricordo le inchieste su Stamina o l’impegno di mostrare anche soluzioni e non solo problemi.
Abbiamo declinato la tradizione in modo sempre nuovo, penso ai numeri speciali con la sovracopertina (come accade anche oggi) a partire da quello sull’Africa del luglio 2009 fino alle copertine sugli attentati di Parigi e al progetto Europa in collaborazione con le testate europee più prestigiose; all’archivio storico digitale, 5 milioni di articoli consultabili gratuitamente sul nostro sito; alla nuova sede e al museo, visitati da 20 mila persone nei primi 8 mesi; alla web car, la nostra Cinquecento con la parabola sul tetto che ha viaggiato l’Italia per garantirci ore di diretta sul sito; agli accordi tecnologici con Google, Facebook, Amazon, YouTube; alle celebrazioni per i 40 anni di «Tuttolibri» o i 60 di «Specchio dei Tempi»; fino alla riuscitissima e felice fusione con il «Secolo XIX» di Genova.
Ho avuto un editore che ha creduto fino in fondo nel futuro di questa testata: John Elkann non solo ci ha dato il sostegno economico necessario per superare la stagione più difficile, ma si è anche messo in gioco personalmente ogni giorno. Ho avuto la fortuna di lavorare con persone di cui non dimenticherò il valore, da Massimo Gramellini a Luca Ubaldeschi, da Francesco Manacorda a Massimo Russo, da Flavio Corazza a Michele Brambilla. Non mi metto neppure a citare le firme di valore che vi hanno fatto compagnia in questi anni, sarebbero troppe, una per tutte è quella di Maurizio Molinari, già corrispondente a Bruxelles, New York e Gerusalemme, che da domani mi sostituirà alla direzione. Maurizio è la persona giusta per guidare «La Stampa» in questo tempo di conflitti globali, la sua capacità di analisi è preziosa e fondamentale e non gli mancano metodo, generosità e pazienza. A lui raccomando l’amore per le cose fatte bene, quella passione sabauda che mi hanno sollecitato ogni giorno tre firme che hanno fatto grande questo giornale: Luigi La Spina, Vittorio Sabadin e Cesare Martinetti.
Vi lascio ricordando il giorno più felice di questi anni, quello in cui è tornato a casa Domenico Quirico, il giornalista che più mi ha mostrato il valore della testimonianza, perché immergersi nella realtà per raccontarla senza pregiudizi e con gli occhi puliti è ancora la lezione fondamentale, anche nel mondo digitale.