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 2015  dicembre 31 Giovedì calendario

I guai delle giunte amministrate dai Cinque Stelle

Governo. Non c’è altra parola d’ordine che i Cinquestelle abbiano ripetuto più spesso lungo tutto l’anno che si chiude stanotte. L’hanno lanciata durante il raduno nazionale di Imola. L’ha brandita con cadenza regolare Luigi Di Maio, fresco di articolo sul Financial Times e di sorpasso sul premier Renzi nella fiducia nei leader rilevata dai sondaggi. Ma al momento di maggiore efficacia dello storytelling del Movimento, corrisponde quello più basso nella pratica amministrativa sui territori. Almeno a giudicare dallo stato di coesione di alcune delle sedici giunte Cinquestelle.
Innanzitutto dal prossimo anno dovrebbero essere quindici. A Gela il sindaco M5S è già praticamente fuori, messo alla porta da quattro consiglieri su cinque che gli hanno girato le spalle. La storia è quella di tanti Comuni italiani che ospitano aziende dal grande impatto ambientale. In questo caso si tratta dell’Eni, che ha lì una raffineria nella quale sono previsti pesanti tagli di organico.
Il sindaco Domenico Messinese è accusato dai suoi di tenere un atteggiamento troppo morbido nei confronti dell’azienda. Per lui, che su due piedi ha licenziato tre assessori ed è sostenuto ora da un unico consigliere, si ipotizza il ritiro del simbolo o l’espulsione votata dagli iscritti sul blog di Grillo già nelle prossime ore.
Poi c’è il caso di Venaria Reale. Nel Comune alle porte di Torino una consigliera Cinquestelle, Viviana Andreotti, ha lasciato la maggioranza per accasarsi tra i Moderati di Portas. L’addio, deciso dopo il rifiuto di votare la delibera con la quale il Comune è uscito dall’osservatorio sulla Tav, ha già «mandato sotto» il sindaco in qualche voto consiliare. La posta in gioco non è solo locale. Cadere a Venaria, o finire in un’impasse politica, rischia di compromettere le chance di vittoria di Chiara Appendino, candidata del Movimento per la poltrona di sindaco di Torino.
In provincia di Napoli, a Quarto, il M5S ha addirittura un consigliere accusato di voto di scambio e tentata estorsione aggravata ai danni del suo stesso sindaco, Rosa Capuzzo. È Giovanni De Robbio che, indagato, si è dimesso. Lei, che era stata minacciata di vedersi pubblicare una fotografia aerea di un presunto abuso edilizio riconoscibile nella sua abitazione, si è dichiarata parte lesa e intende proseguire.
E poi c’è l’eterno caso-Parma. Federico Pizzarotti, da sempre voce critica e criticata nel M5S, chiede a ogni occasione l’istituzione di un meet up nazionale. Un’istanza formale per coordinare i vari livelli del Movimento. E magari mettere ordine nel disomogeneo corpo politico del M5S, soprattutto se alle prossime amministrative i Cinquestelle dovessero davvero moltiplicare il numero di Comuni nei quali sono al governo. Idea però incompatibile con la teoria orizzontale, diretta e disintermediata che Casaleggio, molto più di Grillo, ha voluto infondere nella sua creatura politica al momento della fondazione.