Corriere della Sera, 31 dicembre 2015
Kalashnikov, sms e uno sconosciuto. I verbali di Parigi, seimila pagine per capire cosa è successo la sera del 13 novembre
«Dov’è il cantante, eh? Dove sono gli americani? È un gruppo americano e con gli americani voi bombardate...». Sono le 21.45 del 13 novembre e i terroristi asserragliati nel Bataclan urlano contro gli ostaggi per terra, l’uno sopra l’altro. «Andate a vedere quello che fanno i bombardamenti in Iraq, noi facciamo quello che voi fate in Siria...».
«Si divertivano», racconta a verbale uno dei ragazzi sopravvissuti. «Andiamo, alzatevi. Chi vuole andare vada» diceva uno di loro. «Naturalmente ha sparato a chiunque abbia provato ad alzarsi... e questo li faceva ridere», ricorda lo stesso ragazzo.
Nella fase finale dell’attacco, quando l’edificio era circondato dalle forze speciali, l’ordine all’ultima decina di prigionieri rimasti intrappolati nel corridoio con gli attentatori è stato: «Mettetevi dietro le porte e davanti alle finestre». Scudi umani per provare a resistere, non nella speranza di uscirne vivi perché il loro destino era segnato dalle cinture esplosive che indossavano. Soltanto per allungare i tempi di quella barbarie, per divertirsi un po’.
In una Parigi che stasera saluterà il 2016 senza fuochi d’artificio per omaggio alle vittime di quest’annus horribilis – mentre Bruxelles, per timore di attentati, ha cancellato i festeggiamenti – emergono, dopo 48 giorni d’inchiesta, mille dettagli, l’uno più nero dell’altro, dall’orrore del massacro nella sala concerti del Bataclan e dagli altri assalti parigini del 13 novembre. 850 uomini dell’antiterrorismo (e non) hanno messo assieme quasi seimila pagine di verbali, intercettazioni, testimonianze. E un passo alla volta stanno ricostruendo gli attacchi (prima e durante) e stanno facendo luce sulle vite e sulla rete di contatti degli attentatori. La stampa francese ( Le Parisien e Le Monde ) ha messo le mani su alcuni dei documenti più importanti dell’inchiesta e da quelle carte emergono, fra le altre cose, anche indicazioni che promettono sviluppi in direzione del Belgio, Paese da cui arrivavano alcuni dei nove terroristi in azione a Parigi.
Gli inquirenti sono convinti che qualcuno, rimasto finora sconosciuto, abbia coordinato proprio dal Belgio gli assalti dei nove terroristi divisi in tre commando. Una sorta di regia che trova conferma nelle indagini partite dal telefonino ritrovato in un cassonetto della spazzatura vicino al Bataclan. È il Samsung bianco dal quale alle 21.42 del 13 novembre fu inviato il famoso messaggio: «Si parte, si comincia» diretto al numero di una persona misteriosa che in quel momento si trovava in Belgio e che aveva attivato la sua linea telefonica il giorno prima, alle 22.24, per disattivarla subito dopo la ricezione del messaggio.
In meno di un giorno di funzionamento, la linea del nostro uomo senza nome ha avuto contatti esclusivamente con il Samsung bianco ritrovato poi dalla polizia: uno scambio di 25 sms. E sul Samsung sono rimaste tracce anche della ricerca di foto e planimetrie del teatro, del programma della serata. Il pomeriggio della strage il suo proprietario aveva scaricato il servizio di messaggistica criptata Telegram. E non è tutto. Un secondo numero, anche questo attivato in Belgio, è stato in contatto tutta la sera del 13 con Abdelhamid Abaoud, l’uomo poi ucciso nel blitz della polizia a Saint-Denis che guidava il commando contro i ristoranti e i caffé del X° e XI° arrondissements. Questo secondo numero rispondeva dallo stesso luogo dell’altro telefono. Quindi la deduzione: una specie di triplo coordinamento che ha funzionato in tempo reale. Sparavano e telefonavano. Al Bataclan, per esempio: uno dei kamikaze avrebbe urlato a un altro: «hai chiamato Souleymane?». Così si faceva chiamare Charaffe el-Moudan ucciso da un drone americano in Siria il 24 dicembre. Che fosse lui l’uomo misterioso del Belgio?