Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2015  dicembre 31 Giovedì calendario

Siamo tutti freudiani (anche se non lo sappiamo)

«Occorreva fare un bilancio pacato dopo le polemiche infuocate degli ultimi anni». Élisabeth Roudinesco parla di Sigmund Freud, l’inventore della psicanalisi, contro il quale nell’ultimo decennio sono state mosse critiche violente che non hanno risparmiato la sua vita privata e le sue pratiche cliniche. Per questo, la studiosa francese, psicanalista e storica della psicanalisi, ha scritto una nuova accurata biografia dell’autore dell’“Interpretazione dei sogni”, la cui vita viene proiettata sul contesto storico-culturale in cui è nato il movimento psicanalitico: Sigmund Freud nel suo tempo e nel nostro (Einaudi). «A oltre settantacinque anni dalla sua scomparsa, Freud continua a disturbare la coscienza occidentale», spiega la studiosa.
«Oggi però è diventato un classico del pensiero occidentale che non appartiene più né agli psicanalisti né agli antifreudiani. Freud appartiene alla cultura mondiale».
Come spiega la violenza delle accuse contro di lui?
«Le polemiche fanno parte della vita delle idee. Diventando importante, un movimento alimenta un’opposizione critica. Oltretutto la psicanalisi è diventata molto dogmatica. Per molti psicanalisti Freud è un mito intoccabile intessuto di leggende. Questo atteggiamento agiografico ha favorito le critiche, le quali talvolta hanno prodotto un antifreudismo viscerale. Basti pensare al Libro nero della psicanalisi o al recente volume di Michel Onfray. A Freud è stato rimproverato di tutto. Lo si è accusato di rimettere in discussione la morale sessuale e religiosa, ma anche di essere inefficace sul piano medico-scientifico».
È stato anche accusato di essere misogino...
«Non sono d’accordo. Certo era un uomo del XIX secolo per niente femminista, ma in fondo ha contribuito all’emancipazione delle donne. Era un conservatore illuminato, favorevole all’aborto e alla contraccezione. Pensava che le donne dovessero avere il diritto di lavorare e di sposarsi liberamente. Il vero rimprovero da muovere a Freud riguarda la neutralità della psicanalisi rispetto alla società e alla politica. Considerava la psicanalisi autosufficiente e ha quindi sostenuto che gli psicanalisti dovessero essere apolitici. Questa posizione spiega il suo iniziale tentativo di collaborare con il nazismo e il Göring Institut di Berlino per salvare la psicanalisi. Fu il suo grande errore. Per spiegare questa posizione bisogna però tenere presente il suo radicale anticomunismo e ancor di più la sua opposizione a Wilhelm Reich».
Freud è stato anche accusato di essersi arricchito tramite i suoi pazienti. Fu così?
«Non è vero. Aveva un buon tenore di vita perché era un medico stimato, ma non era certo più ricco dei suoi colleghi. Non era ossessionato dal guadagno».
Eppure il ruolo del denaro nella psicanalisi ha alimentato molte polemiche...
«Non sono mancati gli psicanalisti disonesti. E soprattutto negli Stati Uniti operavano diversi ciarlatani. Anche Lacan e Verdiglione, sebbene in modi diversi, sono stati molto disinvolti e spregiudicati con il denaro».
La psicanalisi immaginata da Freud non rischia di essere una pratica riservata esclusivamente a persone colte, danarose e consapevoli di sé?
«Questa è una delle contraddizioni maggiori della pratica freudiana. Sembrerebbe quasi che la psicanalisi sia stata inventata per i personaggi di Proust, uomini e donne della belle époque. Però all’interno del movimento si è manifestata anche una dimensione filantropica che progettava cliniche aperte a tutti, sottolineando la dimensione sociale della psicanalisi».
Leggendo la sua biografia, si ha l’impressione che Freud non fosse del tutto consapevole della portata rivoluzionaria del suo pensiero. È così?
«È così. Non si rese conto che l’invenzione dell’inconscio e l’interesse per i sogni stavano trasformando le pratiche artistiche. D’altronde l’arte moderna non gli interessava. Freud non capì i surrealisti, non lesse Proust e si avvicinò a Thomas Mann solo dopo molte esitazioni. Aveva invece una grande cultura classica, che utilizzava per arricchire le sue teorie di richiami alla letteratura e all’arte. Freud è un mitografo che guarda alla letteratura e alla biologia. È un antropologo, ma non un filosofo, anche se può essere considerato un erede di Kant e nella sua riflessione non mancano tratti di Nietzsche e Schopenhauer».
Un erede dell’illuminismo affascinato dalle forze oscure dell’irrazionale?
«È il suo tratto di fondo. Freud s’interessa a un mondo sfuggente quasi magico, ma al contempo vuole costruire un sistema di pensiero come una scienza. Il lato affascinate è proprio questo oscillare di continuo tra poli opposti. Era affascinato dalla lotta di Giacobbe con l’angelo. Animato da questa dialettica, è sempre intento a combattere contro l’ombra di se stesso. Insomma, era un uomo dell’illuminismo che s’interessava alle forze dell’irrazionale per portarle dalla parte dei Lumi».
Nella vita di Freud hanno molto contato due donne: Lou Andreas-Salomé e Marie Bonaparte.
«Sono due donne dalla personalità opposta. Lou Salomé era una donna affascinante, la cui vita è un’opera d’arte. Che una donna simile raggiungesse il movimento della psicanalisi, per Freud fu un fatto eccezionale. Lou fu il suo alter ego nel pensiero tedesco. Marie Bonaparte invece era una stravagante principessa che si annoiava. Fu salvata dall’analisi, perché avrebbe potuto suicidarsi. La sua adesione alla psicanalisi sarà fondamentale per il movimento in Francia».
Fu lei ad aiutare Freud a lasciare Vienna dopo l’Anschluss e l’arrivo dei nazisti?
«Grazie al denaro e all’energia di Marie Bonaparte, Freud partì da Vienna insieme a diciassette persone, tra amici e familiari. Fu costretto a lasciare le quattro sorelle, sperando di farle venire a Londra più tardi. Come tutti gli ebrei dell’epoca, pensava che i nazisti non avrebbero infierito su quelle donne anziane. Purtroppo le sorelle non riuscirono più a lasciare la capitale austriaca e morirono nei campi di sterminio. Ma accusare Freud di averle abbandonate condannandole a morte è un’accusa infamante e ingiusta. All’epoca nessuno poteva ancora immaginare la soluzione finale».
In definitiva, come le appare oggi Freud?
«Un grande intellettuale che rappresenta il meglio della cultura mitteleuropea del suo tempo. Diversamente da quello agiografico degli psicanalisti, il mio Freud è un uomo torturato e in preda al dubbio, la sua è una personalità lacerata tra luce e ombra, un po’ come lo ha dipinto Sartre nella sceneggiatura che scrisse per John Huston. Il suo sistema di pensiero ha rinnovato l’interpretazione dell’uomo contemporaneo. Inoltre, al di là delle applicazioni cliniche, l’approccio psicanalitico è una scuola di lucidità per chiunque voglia conoscersi meglio».
Da psicanalista, come spiega le azioni dei terroristi che hanno insanguinato Parigi il 13 novembre?
«È difficile interpretare quei gesti terribili senza conoscere le storie individuali di chi li ha commessi. Quei giovani erano dominati da una pulsione di morte assoluta che li ha spinti al martirio e al suicidio in una logica nichilista che implica la negazione dell’altro da sé. Anche se in loro c’era forse una parte di follia, erano coscienti di quello che stavano facendo. Il loro gesto si spiega soprattutto con la conversione fanatica all’islamismo radicale. Nella società individualista e laica dove la religione non organizza più la società, la proposta del fanatismo religioso è una tentazione per persone deboli e incolte, paranoiche e incapaci d’integrarsi».