la Repubblica, 31 dicembre 2015
Intervista all’italiana candidata al Nobel dei professori
Dimenticatevi la maestrina dalla penna rossa tra alunni impettiti e silenziosi. Lei, dopo 26 anni in cattedra, è un tornado di vitalità, ironia, passione e progetti da manager. Ai bambini l’alfabeto lo insegna giocando col corpo in palestra, al posto delle interrogazioni ha inventato i tg di classe, ha portato gli alunni a Parigi per scambi culturali, organizza mostre e orti coltivati da nonni e nipoti e fa parte della redazione di un giornale in rete. Insomma, ti ho insegnato per allegria sembra essere il suo motto.
Forse è anche per questo che Barbara Riccardi, docente di una terza elementare all’Istituto comprensivo Frignani a Spinaceto, quartiere della periferia romana, è la “maestra da un milione di dollari”. Si è ritrovata candidata e ora, dopo aver sbaragliato ottomila concorrenti, è l’unica italiana in lizza per il Global teacher prize, ideato dalla Varkey Foundation e sostenuto dall’Unesco, per la sua capacità di «creare legami tra studenti di diversi paesi con programmi di scambio e inclusione». Il Nobel all’insegnante «che ha dato un contributo speciale alla professione», verrà consegnato a marzo e vale un milione di dollari. A contenderglielo 50 finalisti nel mondo. Insegnante per caso o per passione?
«Da piccola a scuola andavo male ma dai salesiani mi divertivo, si giocava molto. La mia idea di insegnamento viene da lì, dai ricordi di me bambina: imparare con allegria, usando immaginazione, gioco. Cercando di creare reti di collaborazione fuori dalle aule, con le famiglie, il quartiere, paesi stranieri, perché lo scambio sia continuo. Anche a questo serve la rivista sul web, un punto di incontro per trovare spunti: ognuno porta esperienze che hanno funzionato, ognuno trova qualcosa per aiutare i bambini».
Cosa sono per lei i bambini?
«Intanto diciamo cosa non sono: non sono contenitori che vanno riempiti passivamente di informazioni, non bisogna solo trasmettere sapere, bisogna imparare assieme. L’idea che mi guida quando insegno è che se si comincia da piccoli a farli ragionare con la loro testa diventeranno degli adulti con principi e tutta la società sarà migliore. Il sangue non è acqua, la voglia di cambiare il mondo l’ho presa da mio nonno».
Porta la rivoluzione in classe?
«No, ma mio nonno era sindacalista e mi ha trasmesso la voglia di giustizia, l’idea di difendere i più deboli, accogliere, condividere. Non è sempre facile in una scuola di periferia con alunni stranieri che non parlano bene l’italiano, altri disabili da aiutare, con i fondi che mancano come gli insegnanti di sostegno. Ma l’idea è puntare ad un mondo migliore, possibile se ci si impegna, con la voglia di guardare al futuro mettendo in luce le cose belle. Aiutati dalla creatività, anche in classe».
Creatività per sopperire alla mancanza di fondi?
«Anche. Mio padre lavorava in un giornale, lo spirito creativo, l’amore per l’arte e la curiosità li devo ai miei genitori e da queste passioni è nato anche il progetto Leonardo che ci ha portato a Parigi: dieci scuole romane e francesi ora realizzeranno due mostre in parallelo sulla vita e le opere del genio».
Come si sopravvive a venti ragazzini?
«A volte ti sfiniscono quando devi ripetere cento volte la stessa cosa, ma danno grandi soddisfazioni, basta trovare il modo giusto. E qui l’immaginazione aiuta, come l’alfabeto insegnato in palestra perché usano i loro corpi per formare le lettere, e creandole assieme imparano a collaborare».
Niente interrogazioni ma tg in aula, cosa significa?
«I ragazzi studiano e presentano relazioni come fossero notizie, fanno gli anchorman ripresi dai compagni coi telefonini, chi fa l’operatore, chi il regista, a turno. Meno ansia da interrogazione e ottimi risultati».
“Sfrutta” genitori e nonni?
«La scuola è cambiata, c’è bisogno dell’aiuto di tutti, bisogna parlarsi per capire problemi, aspettative reciproche, ma anche collaborare concretamente: così il babbo falegname da noi fa gli scaffali, uno che è geologo sta lavorando per il museo virtuale e altri ancora aiutano per compilare i bandi del ministero. Con i nonni abbiamo creato un orto a scuola: insegnano ai nipoti come si coltiva e con i soldi dei prodotti ci compriamo i colori».
Cos’è la buona scuola?
«Per me è sfruttare e valorizzare le qualità di ognuno, fare di una presunta debolezza una forza. Basta cambiare la prospettiva: così il giovane autistico che avevo in classe, un vero genio, aiutava gli altri in matematica. Comunque ci vuole passione per combattere la mancanza di fondi: ecco, di questo premio mi piace l’idea perché dà luce alle migliaia di docenti anonimi che come me si impegnano e reinventano la scuola».
Stipendi bassi per gli insegnanti, come si campa?
«Ci si arrangia, c’è chi abita ancora con i genitori, altri come me da precaria fanno più lavori: ho organizzato eventi, festival musicali. Siamo professionisti multitasking: insegno, mi sono iscritta all’università, faccio praticamente l’imprenditrice visto che mi devo ingegnare, assieme ai genitori, per vincere i bandi del ministero e portare così nuovi fondi ai progetti della mia scuola. Ecco, diciamo che il nostro salario non rispetta la molteplicità di impegni e ruoli richiesti».
Cosa farà se vince il milione di dollari?
«Vorrei creare spazi dove studenti e docenti abbiano la possibilità di corsi di aggiornamento, sportivi e di lingue. E poi comprerei materiale didattico, per i bambini disabili ci vorrebbero le lavagne interattive multimediali, quelle sì aiuterebbero».
Per lei niente?
«Mi pagherei finalmente il mutuo di una casa e farei un regalo a mia madre».