la Repubblica, 31 dicembre 2015
Arriva El Niño. E porta con sé le più grandi tempeste degli ultimi vent’anni
Allarme El Niño. Lo lancia la Nasa, ma i meteorologi lo aspettavano da mesi. Uno dei più potenti fenomeni naturali del clima mondiale ha, di solito, effetti devastanti – dalle siccità agli uragani – sulle condizioni meteorologiche abituali. Accoppiato con il crescente riscaldamento globale, alimentato dall’effetto serra, può avere esiti imprevedibili: «Possono interagire in modi che non abbiamo mai sperimentato» dice Michel Jarraud, il capo del Wmo, l’organizzazione meteorologica mondiale. Tanto più che El Niño che abbiamo di fronte, forse proprio a causa del riscaldamento globale, è già a livelli record. Il fenomeno è ciclico e si ripresenta a scadenze fra i due e i sette anni. L’ultimo era stato nel 2009, ma quello di quest’anno ha già raggiunto i livelli dell’inverno 1997-98, quando la temperatura di superficie del Pacifico orientale si riscaldò di 2 gradi. La Nasa, però, sottolinea che l’El Niño attuale sembra ancora in fase di carica. Il picco di riscaldamento delle acque potrebbe essere lontano, ben dentro il 2016. Potrebbe essere, dunque, El Niño più forte degli ultimi 50 anni e, siccome il fenomeno, anche se i pescatori lo segnalavano già nel ‘600, viene scientificamente studiato solo dalla metà del secolo scorso, El Niño più forte di sempre.
La meccanica del processo è nota. I venti che, normalmente, sul Pacifico spirano verso ovest (cioè verso la Cina) perdono forza o, addirittura, invertono la direzione. Il risultato è che le acque calde, normalmente concentrate sul lato Ovest, tracimano verso Est, verso le Americhe. Il fenomeno è massiccio. Di solito, dice la Nasa, proprio perchè più calde, le acque intorno all’Australia e al Giappone sono più alte di 50 cm, rispetto alla parte orientale dell’oceano. Ora, come nel ‘97, sono scese di 20 cm, mentre quelle orientali sono salite di 25. Questo strato d’acqua calda che si ammassa lungo le coste americane, dal Cile alla California, evapora facilmente. L’umidità si alza e raggiunge anche le correnti atmosferiche d’alta quota. Possono essere, allora, i vapori del Niño a determinare l’inverno ultramite che abbiamo sperimentato in queste settimane in Europa e che ci ha messo in maglietta, ma a piedi, perchè l’allarme smog ha strangolato il traffico automobilistico? La risposta è no. Nessuno scienziato serio è, al momento, disposto a sostenerlo e anche i meno seri, in materia, tacciono.Se El Niño c’entrasse, non avremmo, del resto, idea del perché e neanche del come. È possibile che, interferendo con le correnti atmosferiche d’alta quota o con l’inverno artico, il riscaldamento del Pacifico orientale determini condizioni climatiche eccezionali anche in Europa. Quali? L’inverno 2009-2010, quello dell’ultimo Niño, è stato, sul nostro continente, il più freddo e il più lungo degli ultimi 15 anni. Esattamente il contrario dell’attuale. Quanto basta per concludere che la coincidenza fra i vapori del Niño e l’inverno che in Europa ancora non c’è è più casuale che frutto di una correlazione.Sappiamo, invece, con sufficiente precisione quello che El Nino determina nelle aree che circondano il Pacifico. Negli Stati Uniti, l’inverno 1997-98 è ricordato come quello della Grande Tempesta di Ghiaccio nel New England e nel sud del Canada, ma, altrove, l’inverno fu mite, segnato piuttosto dalle scie di uragani dalla California, al Texas, al- la Florida. Quello che conta, ora, è che l’umidità che si concentra sulle coste delle Americhe determina piogge abbondanti. Nella California piegata da 5 anni di siccità, sperano che le piogge rimpolpino le falde acquifere in via di esaurimento, ponendo fine alla lenta asfissia dell’agricoltura. Ma devono stare attenti a non aver troppo di quello che si augurano. In America latina ci sono già 150 mila evacuati per le inondazioni che hanno colpito Paraguay, Argentina, Uruguay e Brasile. Il lato giocoso del Niño si vede nelle immagini che arrivano dal nord del Cile, una delle zone più aride del mondo, il deserto del guano e delle miniere di rame, dove torrenti impetuose percorrono le strade di città come Arica, dove l’acqua, abitualmente, si centellina. Ma è il lato drammatico del Niño che si vede di più. A parte le inondazioni, l’atmosfera carica di vapore acqueo ha un’energia in eccesso, che si scarica in tempeste e uragani. I tornado hanno già fatto 13 morti nel Missouri e la stagione degli uragani sembra destinata a prolungarsi nel 2016, insieme agli effetti dilatati del Niño, che possono durare anche 12 mesi.Il rovescio della medaglia lo si vede all’altro lato del Pacifico. A parte l’intensificarsi dei tifoni, l’elemento chiave è la siccità. In India, il raffreddamento relativo del Pacifico ha determinato un ritardo nel monsone e nelle sue piogge che si è tradotto in drammatiche ondate di calore. L’assenza di piogge sta strangolando l’agricoltura dell’Australia occidentale, ma la siccità sta colpendo tutto il continente. Come, poco più in là, nell’Asia sudorientale, l’Indonesia, dove le foreste secche prendono più facilmente fuoco e, insieme alle vaste distese di torba, rovesciano nell’atmosfera torrenti di fumo e anidride carbonica.Quello che i meteorologi della Nasa non riescono a prevedere è cosa succede quando un fenomeno come l’aumento eccezionale di umidità sul Pacifico orientale si somma a un fenomeno analogo, ma endemico, come l’aumento di umidità determinato dall’effetto serra e dal riscaldamento globale: gli anni più caldi degli ultimi due secoli sono tutti concentrati dopo il 2000. La conclusione più semplice è che l’infittirsi di fenomeni climatici estremi, come l’intensità e la frequenza degli uragani, già in aumento, sia destinata ad accelerare ancora di più nei mesi del Niño. Ma la Nasa ricorda anche che gli effetti diretti del Niño – inondazioni, siccità, uragani – comportano pesanti effetti indiretti. La Fao è già in allarme per l’impatto che il caos climatico sta avendo e avrà sui raccolti di riso e frumento del 2016 e per l’impennata dei prezzi che si attende, soprattutto nei paesi più poveri e in via di sviluppo.