la Repubblica, 31 dicembre 2015
Il Po sembra un deserto di sabbia
BORETTO (REGGIO EMILIA).
Non lo vedi nemmeno, il grande fiume. Cammini sulla sabbia fra barche in secca. Acqua, cielo e nebbia hanno lo stesso colore grigio. «Venga a vedere com’era il Po, una volta». Romano Gialdini, 77 anni, ha costruito un piccolo e bellissimo museo accanto a quello che era un ponte di 92 barche di cemento, fra Boretto e Viadana. Lui è stato l’ultimo pontiere, in servizio fino al 1967. «Ecco, questa è la foto del Po ghiacciato nel 1928. Che potenza. Questa è la piena del ’51…». Sembra una bestemmia, alla fine di dicembre, la parola “siccità”. Eppure il Po sembra un fiume tramortito che scorre in “canali” sempre più ristretti. «Oggi – dice l’ingegner Ivano Galvani, dirigente dell’Aipo, l’Azienda interregionale per il fiume Po – l’idrometro segna meno 2,92 al ponte della Becca nel pavese, meno 2,81 qui a Boretto, meno 5,67 a Pontelagoscuro nel ferrarese. Ci sono state, nel passato, secche invernali, a volte più pesanti. Nel dicembre 2001 qui a Boretto fu registrato ad esempio un meno 3,35. Ma allora le montagne erano piene di neve ed i laghi erano colmi dell’acqua dell’autunno».È il simbolo di questo inverno che soffre la sete, il grande fiume. Come in estate, aspetta un aiuto dai grandi laghi ma questi non possono dare una mano. «In un anno già troppo secco – spiega Ermes Sagula, della Coldiretti lombarda – novembre e dicembre hanno abbassato ancor più la media. In questi due mesi sono caduti infatti 15 millimetri di precipitazioni contro i 39 medi dell’ultimo semestre. I laghi hanno perso quasi i tre quarti dell’acqua, peggio che in estate. Il lago Maggiore ha una percentuale di riempimento del 35,2%, quello di Garda del 45%. Non possono abbassarsi ancor più velocemente. Il Garda riesce a mandare a valle 14 metri cubi al secondo, contro una media di 35,3. Ma riceve dalle montagne soltanto 1,1 metri cubi al secondo contro una media storica di 50,5».Basta passare sul ponte della Becca – dove il Ticino entra nel Po – per capire il dramma della Valpadana. Qui ci sono appena 40 centimetri di acqua in più rispetto alla grande secca di luglio, quando il Po – fra il mantovano ed il ferrarese – si poteva attraversare a piedi. Sabbia, sabbia, ancora sabbia e poi l’acqua scarsa con tronchi portati dalle vecchie piene. In altri pezzi d’Italia ci sono le mimose fiorite con due mesi di anticipo, le zanzare che senza il gelo continuano a riprodursi. Qui al nord la secca mette però in discussione il futuro di un’agricoltura che produce il 35% di tutto ciò che finisce sulle tavole degli italiani.«Può sembrare strano – dice Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale bonifiche italiane – ma io sono già preoccupato dalle prossime piogge. Il terreno adesso è secco e duro e non assorbe l’acqua. In caso di forti precipitazioni ci potranno essere allagamenti e alluvioni. Il problema più pesante, dopo la secca, sarà rimpinguare le falde. Abbiamo anche dei progetti, come i pozzi bevitori. Si tratta di manufatti – immagini un tubo forato – che porta giù l’acqua di superficie per dare nuova linfa alle falde sottoterra. Il problema principale è però risparmiare l’acqua di irrigazione. Quest’anno abbiamo realizzato l’Irriframe, un progetto che permette ai soci dei consorzi di bonifica di usare meno acqua possibile e nel modo più utile. Così sono stati risparmiati 500 milioni di metri cubi d’acqua, un quarto del totale».Il Po è ormai un fiume dove navi e chiatte sono ormai un ricordo. «In previsione della secca estiva a giugno ho portato la mia motonave Stradivari a Viadana, sulla riva sinistra – racconta il capitano Giuliano Landini – dove l’acqua è più profonda. Ancora non sono riuscito a tornare al mio attracco, a Boretto. L’altro giorno, proprio sulla mia nave, c’è stato un convegno sulla navigazione. C’è un progetto che costa più di due miliardi per creare sbarramenti, conche e bacini fino al delta. Un altro progetto – costo 400mila euro – prevede invece la navigazione a corrente libera, guidata da pennelli. Il guaio è che il Po è ormai come una strada sulla quale da vent’anni non passa più nessuno. Chi si prenderà la briga di finanziare la manutenzione? Prima della grande secca del 2003 c’erano quattro grandi navi (le tedesche River Cloud e Casanova, la francese Michelangelo e la svizzera olandese Venezia) che portavano qui turisti da tutto il mondo. Navi a 5 stelle, come sul Danubio. Ora è rimasta solo la Michelangelo, che si ferma però a Polesella, nel ferrarese”.L’ex pontiere Romano Gialdini conferma. “Fino al 1965 noi dovevamo aprire il ponte di barche quattro o cinque volte al giorno per fare passare navi, draghe e chiatte. Passava di tutto, sul fiume: grano, carbone, mais, minerali per le industrie. A mezzogiorno, qui nella stanza dove c’è il museo, arrivavano le mogli a portare il pranzo. Non potevi allontanarti un attimo: se un vapore fischiava, dovevi correre. Adesso passano solo due chiatte, una di una ditta di trasporti speciali e una di un’azienda chimica. Tutto il resto è fermo. E anche il fiume è cambiato. Un tempo, anche con forti piogge, ci metteva tre giorni, a crescere due o tre metri. Adesso va in piena in ventiquattro ore. Sembra un canale, con una corrente che fa rotolare ciò che trova e lo butta nelle golene che erano la vita del fiume ed ora sono tutte chiuse e i pesci non sanno più dove andare a riprodursi». La nebbia copre ancora sabbia e acqua. Meglio guardare le foto del museo. Sul muro, le targhe con le misure delle grandi piene, dal 27 maggio 1917 (metri 7,52) al 18 novembre 2014 (metri 7,95). Forse anche le grandi secche dovranno presto avere una targa.