la Repubblica, 30 dicembre 2015
«Mia madre mi diceva sempre “fatti un posto fisso”». Checco Zalone si racconta
Vita da Zalone: «Quando mi dicono “chissà che inferno il successo” rispondo “essere Checco è bellissimo”. Ma poi penso a quando non sarà più così. Sono in ansia perché Sole a catinelle ha fatto incassi spropositati: otto milioni di biglietti. Anche se stavolta ne facciamo quattro va bene. Intanto la canzone La prima repubblica è terza nei passaggi radiofonici, dopo Steve Wonder e Justin Bieber. Un saluto a Wonder: Steve, ti sono dietro». Luca Medici in arte Checco Zalone consegna Quo vado? (regia di Gennaro Nunziante) in 1.300 sale venerdì primo gennaio.
“Quo vado?” ha avuto due anni di gestazione. Qual è stato lo spunto di partenza?
«Il servizio di un tg su un ricercatore del Cnr che al Polo nord si allena a sparare: in Norvegia, dove abbiamo girato, c’è una base italiana, i ricercatori devono difendersi dagli orsi che sono cento volte più degli uomini. Ho immaginato di avere questa funzione: proteggere i ricercatori dagli attacchi degli orsi. Da lì è nata la storia».
E l’idea della difesa del posto fisso?
«Mia madre mi diceva “fatti un posto fisso”, quindi ce l’avevo dentro questo mito e se ne parlava, era l’era del Jobs act in fase di produzione. Dall’attualità ci è venuto in mente di scrivere la storia su uno che il posto non lo vuole abbandonare per nulla al mondo».
All’inizio il protagonista sembra perdere il posto fisso, ma poi tutto resta come prima.
«C’è una parte amara, satirica, anche se la satira non è il mio mestiere. Però c’è anche un finale riconciliatorio».
Ha sempre detto che Renzi non le piace.
«Fisicamente non è bello. Ma, sarà che ci si abitua, non ho più quel senso di irritazione che provavo quando lo vedevo. Anzi, a volte mi fermo a sentire ciò che dice e lo trovo interessante. Non significa buttarsi dove va il vento, è come quando esce una macchina nuova: la prima volta che la vedi ha una forma strana poi, col tempo, ti abitui».
Il personaggio compie un viaggio di crescita grazie al posto fisso. A lei è successo con il cinema.
«Sì, ma vediamo come andrà il film, se piacerà o meno. Ma mi sento più a mio agio sul set. Quando ho iniziato chiamavo la macchina da presa telecamera suscitando le ire della troupe».
“Quo vado?” parla di riscaldamento globale e villaggi africani senza vaccini.
«Sì e non è facile, si rischia l’accusa di buonismo o qualunquismo. Quei temi sono talmente grandi che non li puoi sviscerare in un film. Ma ho cercato di fare qualcosa che abbia aderenza con la realtà senza essere pretestuoso».
La accusano di buonismo.
«Ero io il primo a dirlo mentre lo scrivevamo. Ma c’è tanto bisogno di bontà, mica è una cosa brutta. Finire col cinismo in tempi di cinismo mi sembrava ridondante. Invece in molti si sono commossi. Non mi va di essere ipocrita ma non sopporto l’idea che uno esca dal cinema con un finale amaro».
Da dove esce il titolo?
«La verità è che non ci veniva. I titoli devono essere brevi, efficaci. Ho fatto le prove con mia figlia di due anni: non capiva il senso ma si è messa a ripetere Quo vado? Quo Vado?, ho capito che funzionava».
Il suo percorso cinematografico in quattro film.
«Spesso mi chiedono se non abbia paura di restare imprigionato nel personaggio. Accadeva anche a grandissimi come Alberto Sordi e Totò. Le mie sono storie diverse, Cado dalle nubi è quello a cui sono più legato e lo è anche il pubblico, c’erano temi non consumati dal cinema, c’era la Lega prima che morisse, ora non avrebbe senso. E l’omosessualità: la canzone Uomini sessuali è la cosa più bella che abbia fatto. Poi Che bella giornata, la storia d’amore con una terrorista islamica: abbiamo precorso i tempi».
Lo rifarebbe?
«No, oggi avrei paura».
“Sole a catinelle”?
«Lì raccontavamo un berlusconiano senza giudicarlo. Perciò c’è chi dice che la mia non è satira: “tu vuoi bene al personaggio, fai in modo che la gente gli voglia bene”. Anche stavolta, sul posto fisso, non giudichiamo. C’è chi storce il naso ma è ciò che ci proponiamo io e Nunziante: non siamo mai migliori di chi vogliamo raccontare».