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 2015  dicembre 30 Mercoledì calendario

Una Roma da ricostruire: dall’inquinamento a quei 470 vigili in meno la notte di Capodanno

L’assenza protratta di piogge in molte parti d’Italia ha ottenuto due effetti. Ha mostrato che le misure di contenimento delle polveri sottili nel nostro Paese sono un capitolo nell’enciclopedia dei fallimenti pubblici. A Milano come a Roma. Ma ha anche rivelato che, come spesso avviene, il rischio ora è di doverci misurare con due Italie diverse. 
Giustamente presidenti di Regione e sindaci, soprattutto del nord, dove il problema di volta in volta diviene più serio per le caratteristiche “stagnanti” che si possono determinare in val Padana, questa volta hanno chiesto al governo una nuova cornice nazionale di norme. Hanno ragione. È un’illusione credere che l’eccessiva concentrazione di Pm10 si combatta arrestandosi ai confini di un comune che adotta il blocco totale della circolazione in alcune ore di alcuni giorni come a Milano, o di chi la consenta a targhe pari o dispari come a Roma, senza un coordinamento regionale e sovraregionale. In 30 anni le emissioni industriali si sono abbattute di un terzo nelle grandi città del Nord, ma per quanto riguarda traffico e riscaldamento le misure a singhiozzo non servono. 
Servono scelte di fondo sul trasporto pubblico locale, sull’aumento di efficienza ecoambientale dell’edilizia, sulla promozione invece che sull’ostacolo al car sharing e al car pooling. Ne parleranno oggi enti locali e governo. Ma una strategia nazionale serve anche per evitare che l’Italia antismog si divida in due, e cioè che ciascuno possa fare localmente solo quel che finanziariamente può spendere.
In quel caso, è inutile illudersi, molte grandi realtà italiane potranno fare ben poco, vivendo condizioni di finanza locale assai compromesse, e che tali resteranno per anni. Come Roma Capitale che, malgrado i decreti salva-Roma e l’amministrazione separata dal bilancio di miliardi di debito concessale, non è in condizioni di poter finanziare nella giusta misura la drastica “cura del ferro” di cui avrebbe bisogno il suo trasporto urbano ed extra urbano, il rapido rinnovo complessivo delle vecchie vetture dell’Atac, la ripresa dei vecchi e inattuati progetti di potenziamento tramviario. È amaro riconoscerlo: Atac alla fine degli anni Novanta fu vanamente la prima grande municipalizzata del trasporto locale italiano a mettere a gara – una gara vera – un quarto del suo fatturato dell’epoca. Ma quella gara rimase senza esito e senza seguito. E tutte le città italiane che si guardarono bene dal seguirne l’esempio. Negli anni, è diventata la municipalizzata dai risultati di gestione e patrimoniali più compromessi d’Italia. E con tutta la miglior speranza che le elezioni amministrative nel prossimo giugno restituiscano al Campidoglio un sindaco politicamente all’altezza e con una maggioranza coesa, Roma si dovrà comunque misurare con costi da tagliare, mentre occorrerebbe un orizzonte diverso: grandi investimenti per dare a Roma Capitale un piano di trasporto coordinato con l’intera regione e nazionalmente. Ma a Roma non bastano neanche progetti che siano finalmente di respiro e impronta internazionale. C’è un ulteriore, amara premessa da fare. Quand’anche il governo decidesse di fare ciò che il ministro Delrio ha anticipato ieri, cioè mobilitare Cdp con 4,5 miliardi di risorse a sostegno di maggiori progetti di trasporto pubblico locale, a Roma c’è una scelta da fare prima. Bisogna che il nuovo sindaco e la sua giunta abbiano un serio progetto radicale su come rivedere l’intera macchina pubblica di Roma e delle sue municipalizzate, che sommano oltre 60 mila dipendenti, cioè il quarto datore di lavoro italiano dopo lo Sato, Ferrovie e Poste. L’insuccesso della svolta organizzativa tentata dai 15 anni di governo della sinistra a cui seguì la giunta Alemanno e l’esperimento di Marino, consegna al nuovo sindaco che verrà la necessità del più grande turnaround organizzativo italiano dopo quello realizzato da Marchionne alla Fiat. Perché nel moltiplicarsi delle parentopoli e nell’abbandono dei controlli di gestione la macchina amministrativa è da una parte pachidermica e sfiduciata, dall’altra porosa e connivente con interessi impropri. Si è visto anche in questi giorni. Il commissario Tronca può anche disporre le targhe alterne ma la macchina amministrativa non è in grado di verificarne l’ottemperanza, né quella del biglietto unico di trasporto esteso all’intera giornata. E adesso è alle prese con un passaggio cruciale, garantire al meglio la sicurezza nelle strade la notte di Capodanno, a un anno di distanza dal clamoroso flop dei vigili urbani che portò alla ribalta internazionale la malattia grave di cui soffre la Capitale. Certo, non si può chiedere a Tronca di risolvere quel che è figlio di anni e anni di cattiva politica, né di metter mano a progetti strategici che possono nascere solo da una politica nuova. Ma è anche vero che almeno un segnale può darlo. Un gesto può compierlo, che ponga un primo mattone di fiducia nella possibilità di ricostruire nel tempo una macchina pubblica romana efficiente e responsabile. Coi poteri commissariali che gli sono attribuiti, Tronca faccia un ultimo tentativo almeno con la polizia municipale. Dica con chiarezza ai sindacati che, mentre si tratta della retribuzione accessoria che dovrebbe costituire uno degli strumenti principe per ancorare a produttività e merito il nuovo Campidoglio, non possono essere proprio i vigili urbani a far mancare ancora 470 unità necessarie alla sicurezza pubblica nella la notte di Capodanno. Soprattutto non si può dire ai romani e al mondo che rifiutano di rendersi disponibili extra turno in un notturno festivo «perché avevano già prenotato le vacanze». Sarà pure un diritto, non discutiamo. Ma se vuol ricevere altri aiuti nazionali, Roma deve dimostrare che ha capito che il tempo delle vacanze verrà dopo. Ora occorre riscostruire.