La Stampa, 30 dicembre 2015
Più esagera, più piace: la legge di Trump
Comunque vada è stato un successo. L’anno che si sta per concludere ha eletto il suo primo vincitore in questo scorcio iniziale della campagna elettorale per le presidenziali di novembre 2016. È Donald Trump, testa di serie indiscussa – almeno a dar retta ai sondaggi – nel confronto in casa repubblicana, grazie a un consenso che lo ha consacrato, almeno sulla carta, il rivale più credibile in un ipotetico scontro finale con la «front runner» democratica Hillary Clinton.
Il miliardario newyorchese chiude il 2015 con un consenso che gravita attorno al 37% tra i sostenitori del Grand Old Party, e che non sembra limitarsi all’elettorato bianco o della destra più dura. Secondo una recente rilevazione compiuta da «Clout Research», il magnate del mattone gode di una certa popolarità anche tra le minoranze.
Consenso in crescita
Dal sondaggio emerge infatti che il 40% degli intervistati di origine afro-americana ha espresso delle chiare simpatie per Trump, così come il 45% degli ispanici e il 19% degli asiatici. Insomma la linea anti-establishment, anti-sistema, e anti-politically correct ha permesso a «Super Trump» di sfondare un po’ a 360 gradi. Addirittura il candidato repubblicano, secondo un sondaggio Gallup, si contende il secondo posto con Papa Francesco, tra i personaggi più ammirati dagli americani nel 2015, dopo il presidente Barack Obama. E in barba a chi lo dava per un fenomeno «morto sul nascere» e destinato a scomparire già alla fine dell’estate, il magnate newyorchese più si cimenta in prove muscolari irriverenti e talvolta aggressive, più vede i numeri stare dalla sua parte.
Del resto dalla sua discesa in campo alla fine della scorsa primavera, la scalata di consensi è stata direttamente proporzionale alle uscite sui generis. Il 16 giugno al suo esordio dice di non avere bisogno di donatori a differenza dei suoi concorrenti e così supera di gran lena le due cifre in termini di sostegni percentuali. Il 18 luglio, dopo aver detto di John McCain che non è il caso di definirlo «un eroe solo perché è stato catturato», i sondaggi hanno visto Trump proiettarsi nel giro di un paio di settimane sopra quota 20 per cento.
Le provocazioni
A fine agosto, definisce i cinesi «ladri di manifattura» e vola al 30%, e dopo un flesso in settembre torna agli apici quando paventa il rischio di «cavalli di troia per i terroristi» tra i rifugiati siriani, e sostiene la creazione di un database speciale per i musulmani.
A dicembre provoca una levata di scudi a livello internazionale quando sostiene la necessità di bloccare l’ingresso per tutti i musulmani negli Stati Uniti. Sono però i giorni della strage di San Bernardino ad opera di Syed Farook, un islamista americano autoradicalizzato, e le parole di Trump hanno presa. Lui rincara la dose e quando gli fanno notare come le sue affermazioni abbiano creato sdegno i tutto il mondo risponde: «I don’t care», non me ne importa nulla. È l’inizio della fuga a quota 37 per cento.