Corriere della Sera, 30 dicembre 2015
I raid americani hanno fatto fuori dieci pezzi grossi dell’Isis. Due erano legati alle stragi di Parigi
Dieci quadri dell’Isis uccisi in Iraq e in Siria dai raid alleati. Tra loro almeno due personaggi legati agli attacchi di Parigi: Charaffe al Mouadan, franco-marocchino amico del kamikaze del Bataclan, e Abdel Kader Haqim, coinvolto nelle operazioni esterne del movimento. Colpi che pur dall’impatto militare limitato hanno un peso. Le incursioni, lanciate dopo il 7 dicembre, confermano come lo Stato Islamico non sia inviolabile nei suoi santuari e puniscono militanti sospettati di preparare nuove azioni. Un’attività di interdizione inserita nella campagna più ampia che ha visto il Califfo subire rovesci a ripetizione.
L’annuncio del Pentagono, infatti, accompagna la vittoria dei curdi siriani Ypg alla diga di Tishreen e la parziale liberazione di Ramadi da parte degli iracheni. In alcuni casi gli esponenti Isis sono stati liquidati a bordo dei loro mezzi, dunque si è trattato probabilmente di target killing (uccisioni mirate), rese possibili da un paziente lavoro di intelligence in aree jihadiste. Sulla mappa compaiono i nomi di Raqqa, Mosul, Hawija e altri luoghi dove sventola il vessillo nero.
La lista dei bersagli è aperta da Al Mouadan, conosciuto anche come «Soleimane». Originario di Saint-Denis, 27 anni, ultimo di 8 fratelli, esperto di armi, Charaffe è cresciuto insieme a Samy Amimour, uno dei terroristi autori della strage nel teatro di Parigi. Uno dei killer freddi e implacabili che hanno falciato giovani inermi. Secondo la polizia nel 2012 voleva unirsi ai qaedisti nello Yemen o in Afghanistan, poi ha rinunciato al viaggio sul sentiero della Jihad. Solo per poco. Un anno dopo, Al Mouadan lascia la Francia per raggiungere la Siria dove entra in contatto con elementi dell’Isis. Dopo il massacro del Bataclan alcuni testimoni sostengono che i terroristi parlano di un possibile contatto telefonico con «Soleimane», il nome di battaglia di Charrafe. E questo porta a ipotizzare un rapporto operativo con il mujahed in Siria. È lui ad aver coordinato, con altri francesi, l’assalto? È un aspetto investigativo sul quale non vi sono certezze, forse potrebbe essere un’altra persona, un belga. I dubbi non impediscono che si trasformi in un obiettivo. Il 24 dicembre il suo veicolo è stato centrato da un missile.
Due giorni dopo gli americani hanno regolato il conto con Haqim, un ufficiale importante dello Stato Islamico, forse in procinto di pianificare altri attentati in Europa attraverso un network di complici. Per il Pentagono è stato eliminato il 26 dicembre a Mosul. A seguire gli altri: Rawand Taher, elemento nella rete di comando e controllo a Raqqa; Abu Anas, esperto di esplosivi; Yunish Khalash, numero due del dipartimento finanziario a Mosul; Mithaq Najim, vice emiro nella zona di Kirkuk; Akram Faris, comandante e «esecutore» di sentenze di morte; Tashin al Haali, facilitatore di attività all’estero e Siful Haq Sujan, bengalese, a lungo residente in Gran Bretagna, un hacker esperto di contro-sorveglianza.
La loro uccisione corrisponde ad una fase militare con la quale gli Usa, insieme agli alleati, puntano a neutralizzare personaggi significativi. Blitz affidati talvolta al binomio caccia-droni oppure alle unità speciali: pochi giorni fa un team misto, composto da soldati americani e curdi, ha dato l’assalto ad una base dell’Isis. Ve ne saranno altre, specie in quei settori dove gli alleati locali degli Stati Uniti sono all’offensiva.
Per questo la Casa Bianca ha disposto l’aumento delle Special Forces nella regione. Scelta militare che si specchia nella strategia preferita da Obama, dove in alternativa al massiccio impiego di soldati il lavoro tocca ai commandos e ai piloti.