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 2015  dicembre 30 Mercoledì calendario

Checco Zalone e i miti di un’Italia che si ostina a non crescere (ma non si nega due risate)

Se passano gli anni per Luca Medici, passano anche per il suo personaggio Checco Zalone (e per il suo cosceneggiatore, regista e complice Gennaro Nunziante). Cado dalle nuvole era del 2009 e il suo protagonista – «meravigliosamente mediocre» come lo definiva una battuta – è cresciuto in consapevolezza e ambizione. Così come sono cresciuti i bersagli da colpire: ieri erano i luoghi comuni del politically correct (e dello scontro Sud-Nord) oggi, in Quo Vado?, sono diventati i miti di una nazione che si ostina a non crescere: la cucina della mamma, la sicurezza della famiglia, la certezza del posto fisso. 
Anzi il sogno tutto italiano di essere uno statale assunto a tempo indeterminato è la stella polare che guida ogni suo comportamento e che lo spinge a sopportare ogni tipo di angherie quando l’ufficio «caccia e pesca» di cui è responsabile viene eliminato con l’abolizione delle Province e la cattivissima dirigente centrale Sironi (Sonia Bergamasco, finalmente libera di mostrare il suo lato comico) lo deporta nelle destinazioni più improbabili per spingerlo alle dimissioni. 
Tutto questo lo scopriamo dal racconto di Zalone che, all’inizio del film, viene catturato da una tribù africana: per aver salva la vita deve spiegare cosa l’ha spinto ad attraversare il loro territorio. E Checco inizia la storia della sua vita, da quando, bambino, era educato dal padre (Maurizio Micheli) alle delizie dell’assenteismo e alla maestra che lo interrogava su che cosa volesse fare da adulto rispondeva serafico: «Il posto fisso». 
Potrebbe sembrare che l’assunzione nello Stato a tempo indeterminato sia ormai un mito rottamato dai tempi (anche se ricordo un sondaggio di non molto tempo fa che lo metteva ancora in cima ai desideri degli italiani) ma dopo una prima parte dove sogni e incubi del perfetto burocrate sono raccontati con divertita partecipazione (indimenticabile la lezione su corruzione, concussione et similia impartita all’amico cacciatore che vuole regalargli una quaglia), Zalone diventa il campione di una serie di comportamenti «all’italiana» che travalicano l’ambito del «posto fisso» per diventare i simboli di un malcostume più diffuso e radicato, legati al razzismo, all’indifferenza ecologica, alla libertà sessuale, al maschilismo quotidiano e che vengono ben sintetizzati nella canzone La prima repubblica, intonata mentre il senatore-simbolo di quella mentalità e di quei comportamenti, «l’angelo custode» Binetto (affidato a un simpatico Lino Banfi), arringa le folle per farsi rieleggere. 
Una canzone che Zalone canta con una voce simil Celentano, omaggio evidente alla tradizione musicale del cantante milanese (sembra di sentire una specie di rivisitazione del Ragazzo della via Gluck ) ma che finisce per essere inevitabilmente anche una presa di distanza ironica da quelle proteste progressiv-populiste con cui Celentano è stato identificato e di cui ogni tanto si è fatto donchisciottesco paladino. Come a voler ribadire la voglia di Zalone di non fermarsi davanti a nessun santo o santuario. 
È questa, mi sembra, la caratteristica più autentica dello Zalone 2015, la voglia di divertire superando la comicità più facile e corriva per cercare di allargare il proprio orizzonte di autore comico e satirico. Così Quo Vado? trasforma pian piano l’impiegato disposto a sopportare ogni angheria (il mobbing gli sembra un regalo fatto dai colleghi per evitare di lavorare) in un cittadino costretto a fare i conti con i propri limiti: succede con il trasferimento alle Svalbard, in una base artica italiana, dove l’amore per la «moderna» Vittoria (Eleonora Giovanardi) lo porta a rimettere in discussione certezze e convinzioni. Naturalmente il «vecchio» Zalone ogni tanto torna a far capolino, i vantaggi dello statale con tredicesima, ferie pagate, mutua (e a casa la mamma, interpretata da Ludovica Modugno) tornano a far valere le proprie ragioni. E la risata scoppia puntuale. 
Quello che forse non ti aspetti è l’esito finale delle sue peregrinazioni, in nome di una ragionevolezza che mette d’accordo populismo e buonismo, ma che finisce per accentuare lo iato che ormai esiste tra il personaggio (compiuto e «maturo») e le storie con cui deve confrontarsi, queste sì ancora schematiche e «rozze». Ed è questo il nuovo passo che ci si aspetta dallo Zalone a venire, capace cioè di mettere a punto sceneggiature all’altezza delle sue ambizioni.