La Gazzetta dello Sport, 29 dicembre 2015
Ecco che fine ha fatto Simone Farina, l’ex giocatore che denunciò chi gli propose di truccare un match
«Sì, tutto è cambiato in un istante. Volevo solo fare il terzino sinistro e invece eccomi qua... Mi avete trasformato in eroe, ma in fondo il mio gesto dovrebbe essere la normalità: denunciare chi sporca il calcio. Combinare una partita vuol dire cancellare la magia sprigionata da un pallone. Vero, ho passato mesi difficili, pieni di paura per i miei bimbi. Ma sono qua. E dico con forza a chi va in campo: non ci sono scuse. Siete i custodi del gioco più bello del mondo: abbiamo il dovere di proteggerlo, dare l’esempio ai più piccoli. Restare in silenzio è sinonimo di complicità». L’uomo che voleva fare solo il terzino sinistro ha scelto di raccontare la sua storia, dopo altri 4 anni, alla Gazzetta: non sussurra parole, le pronuncia a voce alta. Si perdono nel laghetto dell’Eur, baciato da un sole primaverile che rende ancora più luccicante la chioma bionda di Simone Farina. Nel settembre 2011 era un giocatore del neopromosso Gubbio. Prima volta in B per il club, prima volta anche per il difensore ventinovenne. Dopo tanta gavetta finalmente un posto (quasi) in paradiso. Alessandro Zamperini, ex compagno nelle giovanili della Roma, per conto della banda degli «zingari» gli propone di barattarlo con un inferno dorato: 200 mila euro per alterare la sfida di Coppa Italia col Cesena («lo ha fatto in modo diretto, come se mi offrisse un caffè»). Tanti soldi, più di quelli guadagnabili in un anno di B. Farina rifiuta, poi capisce che non basta. Ne parla con la moglie, poi con l’avvocato dell’Associazione Calciatori e col club. Nello stesso giorno è allertata la Procura Figc. Le denunce sportive e penali (Zamperini sarà arrestato a dicembre) il passo successivo. Fin qui tutto semplice. Il dopo lo è meno.
Farina, si è mai pentito della scelta fatta?
«No, anche se le conseguenze sono state traumatiche e inaspettate».
Pensava di poter continuare a giocare dopo la denuncia di un collega?
«Sì, forse ero ingenuo. Ho capito sulla mia pelle quanto sia importante combattere e soprattutto prevenire il fenomeno del match fixing».
Quando ha intuito che la sua vita era cambiata per sempre?
«Nel giro di pochi mesi: il terzino era stato cancellato. Rischiavo di diventare un fenomeno da baraccone. Cavoli, mi ero conquistato il diritto a giocare in B dopo tanti sacrifici e poi…. Ecco perché mi sono chiuso in casa, ho rifiutato interviste e comparsate tv. Ho scelto di farmi vedere nelle occasioni in cui era possibile lanciare messaggi importanti. Come al Viareggio o al Pallone d’Oro. Lì c’erano Messi, Ronaldo, i più forti. E poi io, il più scarso, ma chi combina le partite fa tunnel pure a Leo».
In Italia qualcuno sostiene che il calcioscommesse è una invenzione delle Procure, nel migliore dei casi si tratta di pochi sfigati.
«Magari fosse così, purtroppo è un fenomeno internazionale. Pericolosissimo. Sottovalutarlo è un errore mortale: va affrontato e messo in un angolo. Facendo prevenzione, spiegando ai calciatori i rischi. Fanno parte di un sistema da proteggere e devono essere da esempio ai giovani. L’etica sportiva non è un concetto astratto».
L’Aston Villa l’ha chiamata nell’estate 2012 proprio con questa idea: coach dei ragazzi.
«Mi presentai con un inglese alla vaccinara, ma per fortuna il pallone abbatte ogni barriera. E ho imparato tanto, oltre alla lingua. Anche un modo diverso di promuovere il calcio, con le famiglie al centro dell’attenzione. Da tecnico mi sono ritrovato dirigente».
In Italia sembra i diritti tv l’unico affare che conta.
«Semmai sono la ciliegina sulla torta. Prima vengono tante cose, stadi in primis. Luoghi dove passare una giornata, ricchi di servizi, sicuri. Da noi tra tornelli e divieti passa la voglia di andarci. Ma non esiste calcio senza tifo sugli spalti. E poi...».
E poi?
«A scuola dovrebbe esserci più spazio per lo sport. E meno burocrazia per chi costruisce nuovi impianti. I club devono pensare agli stadi come un investimento. La Juve è l’esempio. Come il Cagliari in B. Agli allenatori spetta indicare la giusta via: smetterla, per dire, con gli attacchi agli arbitri. Le botte per un rigore non visto sono un atto criminale. E vogliamo parlare dei genitori? In Inghilterra ci sono corsi di comportamento per loro...».
Ora lavora per la B: niente sosta a Natale. Scelta vincente?
«Certo, il presidente Abodi ha capito come si valorizza un prodotto. La A sbaglia a fermarsi: è il momento migliore per giocare, le famiglie sono più libere. Cominciamo da qui».
Lotito è anche consigliere federale: per lui Carpi e Frosinone non dovrebbero mai arrivare in A.
«Sbaglia: non sono i piccoli club ad abbassare il valore del prodotto Italia, ma tutto il resto. Il calcio è bello proprio perché ci sono storie alla Frosinone. Magari quest’anno toccherà al Crotone, oppure lo Spezia va in finale di Coppa Italia».
Torniamo alle combine: a Cremona il 18 febbraio ci sarà l’udienza preliminare. Molti giocatori (o ex) famosi rischiano il processo.
«Dobbiamo dire grazie alla Procura di Cremona. Se sarò chiamato a testimoniare, lo farò a testa alta: sono rimasto sconcertato quando il pm di Martino ha dichiarato di sentirsi abbandonato».
Forse è più facile fare finta di nulla...
«La B è rimasta scottata dal caso Catania e ha raddoppiato gli sforzi: si costituirà parte civile nei prossimi processi. Non solo, ha proposto con successo la confisca preventiva dei beni per gli accusati di combine. E ancora, con Federbet andiamo nei ritiri e per spiegare diritti e doveri. Stesso percorso ho fatto con la Fifa».
Lei nel 2012 fu convocato in Nazionale proprio per rimarcare l’importanza di quella denuncia.
«Prandelli e Abete mi sono stati sempre vicini: il giorno a Coverciano resta indimenticabile».
Domande scomode: Sepp Blatter l’ha voluta alla Fifa come testimonial anti corruzione. Ora è indagato e squalificato. Cosa pensa?
«Gli sono vicino, come lui ha fatto con me. Non ho gli strumenti per giudicare il resto della vicenda, ci penseranno gli organi preposti. La Fifa che conosco mi ha portato nei Paesi più poveri per dare gioia ai bambini attraverso un pallone».
L’Italia rischia di arrivare all’Euro con Conte ancora indagato per frode sportiva. Scelta opportuna dargli la Nazionale dopo la squalifica per omessa denuncia?
«Credo sia stata fatta una valutazione da chi aveva quella responsabilità. Mossa sbagliata? Non sono io a doverlo dire. Dal punto di vista tecnico ritengo Conte il numero uno in Italia».
Secondo lei è giusto dare una seconda opportunità a chi ha sbagliato?
«Sono per squalifiche esemplari anche per chi fa finta di non vedere e sentire. Poi capisco la necessità di “premiare” chi aiuta la giustizia. Specie in questa fase di transizione. Chi sbaglia può allora diventare un testimonial anti-combine. Una specie di servizio sociale. Allora sì che è giustificato il ritorno in campo».
A giugno l’Europeo: chi sarà il simbolo dell’Italia?
«Verratti. E aggiungo: la B è spesso palestra ideale per costruire campioni. Vedi Insigne, Florenzi, Bernardeschi. I club di A farebbero bene a guardare lì piuttosto che all’estero. Lo stesso vale per i tecnici: Sarri e Giampaolo gli esempi».
Farina che cosa farà da grande?
«Resto al servizio del calcio, cercando di promuovere gli aspetti più belli. Come ora per la B».
Il più grande dei suoi 3 figli ha 7 anni. Gli ha spiegato perché il papà ha smesso di giocare?
«No. Un giorno non lontano mi toccherà parlargli. Gli dirò che nella vita ci sono delle cose che passano e altre che restano. La differenza tra una scelta giusta e una sbagliata credo sia tutta qui».